martedì 27 dicembre 2011

I migliori film del 2011 - Tiriamo le somme

Proprio ieri sera sono andato a vedere Le idi di marzo, che consiglio caldamente; probabilmente è l'ultimo film che vedrò al cinema nel 2011, così ho deciso di tirare un pò le somme su questa annata cinematografica.
E' una classifica molto limitata e non c'entra molto con i film di cui parlo solitamente in questo blog, ma mi andava di condividerla:

-Top 10

The Tree of Life
Non credo servano troppe parole, del film e sul film si è discusso tanto.
Una meraviglia per gli occhi e uno stimolo per la mente, in un epoca cinematografica in cui le narrazioni sono sempre più lineari e le immagini perdono di valore. Forte, drammatico e impegnativo ma alla fine ti rimette ogni volta in pace col mondo.

Faust
Forse uno dei migliori affreschi storici che mi sia capitato di vedere al cinema, finalmente un film sporco, opprimente, caotico, sgradevole, claustrofobico e disgustoso. E tutto il comparto tecnico è al servizio di questa particolare scelta stilistica, che poi caratterizza un pò tutte le opere di Sokurov sul potere.
Uno dei pochi film ad avermi veramente messo in difficoltà, uno di quelli che riescono davvero a farti stare scomodo sulla sedia.

Drive
Un film che mette d'accordo quasi tutti, gli amanti della caciara fine a se stessa e quelli che anche nel cinema di intrattenimento cercano qualcosa di più. E Drive quel qualcosa in più ce l'ha, saranno le musiche evocative, sarà il protagonista misterioso e folle, sarà la raffinata realizzazione tecnica, sarà che trasuda stile da tutte le immagini, ma ha fatto innamorare un sacco di gente e si merita tutto il successo che sta avendo. Il cinema di genere non è morto e può ancora regalarci prodotti di qualità, speriamo che qualcuno segua il buon esempio di Refn.

The Artist
Un divertissement audace e bellissimo. Hazanavicius (un nome che ormai userò come aggettivo: this movie is hazanavicious) non solo si lancia in un esperimento cinematografico più unico che raro, ma lo fa anche molto bene. La cura per i dettagli è impressionante, dai differenti viraggi della pellicola alle inquadrature statiche tipiche del primo muto. Un bellissimo omaggio da parte di uno che evidentemente il cinema lo conosce molto bene.

Habemus Papam

Con Moretti sono di parte ma voglio premiarlo lo stesso. Un film sobrio, intelligente e ironico sul rifiuto del potere, un elogio dell'incapacità.

La pelle che abito
Uno dei prodotti più interessanti di questa stagione cinematografica.
Non il thriller/giallo che molti si aspettavano ne tantomeno un horror, semplicemente un film di Almodovar, un regista che come al solito è abbastanza difficile da catalogare e che ancora una volta riesce a lasciare il segno.
Una storia difficile, a tratti grottesca, ma raccontata con grande classe e con uno stile unico.

Insidious
Eh lo so, in mezzo a certi colossi è un titolo che stona, e sicuramente ci sono horror e altre schifezze che hanno osato molto di più, però ci tenevo a inserire questo film perché è la dimostrazione che l'horror hollywoodiano non è una carcassa in decomposizione.
Era da un pò che un horror non mi divertiva così.

Le idi di marzo
L'anno cinematografico si chiude decisamente in bellezza.
Il panorama dei film sulla politica e sulle campagne elettorali è abbastanza affollato, e bene o male tutti arrivano a trattare gli stessi temi: compromessi, ipocrisie, corruzione, sogni infranti e aspettative deluse...
Questo Le idi di marzo non è rivoluzionario in questo senso, ma riesce a tirare fuori una storia abbastanza diversa e a raccontarla con grande efficacia.
Ottimo ritmo e uso sapiente della tensione, un film diretto bene e scritto ancora meglio. Clooney si conferma sinonimo di qualità, soprattutto quando si trova davanti un soggetto stimolante come questo.

Il cigno nero

In realtà dall'anno scorso non sono ancora riuscito a rivederlo, quindi oggi potrei anche ridimensionare un pò il mio giudizio positivo, comunque ho deciso di citarlo lo stesso per un paio di ragioni: la prima è che non amo molto Aronofsky, eppure questa volta mi aveva pienamente convinto.
La seconda è che anche oggi a freddo, dopo aver visto roba come Faust o Melancholia, non riesco a non considerarlo un film degno di attenzione, un film che osa almeno un pò da tutti i punti di vista e che difficilmente lascia lo spettatore indifferente.
E poi c'è Natalie Portman.

13 assassini
Di film da citare ce ne sarebbero ancora parecchi e Miike è uno dei registi che detesto di più nella storia del cinema. Quindi voi mi direte: ma perché ? E adesso vi rispondo, state calmi: perché come omaggio ai chambara classici è davvero impressionante, tecnicamente notevole e quasi del tutto privo dei soliti elementi macabri e grotteschi che caratterizzano il cinema di Miike.
Proprio perché odio questo regista ho deciso di premiare uno dei suoi pochi film che non ho odiato. E così evito di dover scegliere tra i soliti Allen, Polanski, Von trier...
Comunque basterebbe l'interminabile combattimento finale a renderlo degno di attenzione.

-Delusioni

A Dangerous Method
Non è affatto un brutto film, ma da Cronenberg mi aspettavo qualcosa di meglio e un approccio molto più personale.

This must be the place

Sorrentino era così impegnato a cercare l'immagine d'effetto a tutti i costi che si è dimenticato del film. Un road movie piuttosto debole.

Ruggine
Mi aspettavo un approccio più maturo alla questione pedofilia, invece è tutto troppo retorico e ingenuo. Troppo simile a Io non ho paura.


-Flop5 (più che flop sono vere schifezze)

The Shock Labyrinth: Extreme 3D
Brutto, tristemente noioso e insignificante, non ci spreco altre parole.

Dylan Dog
Un'operazione commerciale disgustosa, e come teen horror si perde nell'anonimato più totale.

Ubaldo Terzani Horror Show

Albanesi ci riprova e fa un pelino meglio. Se Il bosco fuori faceva così schifo da sembrare una parodia, questo si prende terribilmente sul serio e la butta sullo psicologico. Chiavica noiosa.

In the Market
Un altro figlio del peggior horror all'italiana. In the market è incomprensibile, non si capisce se sia volutamente ironico o se faccia davvero così schifo come sembra. Qualcuno ha detto che non è stato capito, che è un film straniante, io dico che è una stronzata.

Giallo/Argento
Dobbiamo ancora sprecarci parole ?


-Attore

Ryan Gosling
Perché... dai come si fa a non volergli bene:



-Attrice


Jessica Chastain
Perché è meravigliosa. The Tree of Life è splendido anche grazie a lei, una personificazione della grazia. E poi sfido qualsiasi rossa con le efelidi ad essere così bella.

Menzione d'onore anche per Charlotte Gainsbourg e Natalie Portman.


 Buon anno a tutti!

sabato 24 dicembre 2011

Blaxploitation - Prima Parte

E forse anche ultima... Si perché ho recuperato questi filmacci quasi solo per proseguire con la filmografia di Jack Hill, un regista che apprezzo sempre molto, e anche un pò per approfondire un genere che conoscevo solo attraverso citazioni e rivisitazioni.
Dicevo ultima parte, perché è stata una visione abbastanza faticosa, queste pellicole sono anche troppo ingenue e noiose, ripetitive fino alla nausea nelle situazioni, nei personaggi (identici da un film all'altro, interpretati sempre dagli stessi attori) e nelle storie.

Coffy di Jack Hill
A proposito di noia... se i blaxploitation classici sono al limite del soporifero, quelli "al femminile" inaugurati da Jack Hill sono ancora peggio, poco black e poco exploitation.

Praticamente si tratta sempre di Pam Grier alle prese con papponi, spacciatori e politici corrotti. Le muoiono un paio di amici o familiari e lei parte alla carica scoprendo cospirazioni sempre più improbabili, purtroppo il sangue e la violenza sono ai minimi storici e nonostante la durata il ritmo non è per niente vivace. Per fortuna prodotti del genere sono sempre abbastanza grotteschi e ogni tanto riescono almeno a strappare qualche risata, questo Coffy in particolare mi è sembrato leggermente meno moscio.
Da vedere per la presenza di Sid Haig nella parte del violento Omar, a quanto pare collaborava spesso con Hill. Ah anche per i seni esplosivi di Pam grier.

Foxy Brown sempre di Hill
Da molti considerato il seguito di Coffy, e non capisco perché visto che a parte l'attrice e le solite situazioni non hanno niente in comune. E qui si ritorna al discorso introduttivo, questi film sono così tristemente simili che sembrano tutti sequel o remake l'uno dell'altro.
Il film parte con un impressionante piano americano di Pam Grier e dei suoi seni impetuosi, così impertinenti che incredibilmente faticano ad entrare nel suo stesso reggiseno. Purtroppo il resto è molto meno interessante della premessa, praticamente è un more of the same senza more. Storia molto simile a quella di Coffy con meno azione, meno sangue e meno suspence. Insomma non mi spiego come mai questo sia il più famoso dei due.
Anche qui c'è Sid Haig, evidentemente rimasto legato al regista che lo aveva lanciato con Spider Baby.


Shaft di Gordon Parks
Ecco, qui azione e tempi morti si sposano decisamente meglio, però guardarsi tutte le lunghe passeggiate di Richard Roundtree è davvero faticoso. Certo però che conoscendo la fama di Shaft mi sarei aspettato un personaggio molto più cafone, e soprattutto un film rozzissimo pieno di sparatorie, donnacce schiaffeggiate e fiumi di parolacce, invece è tutto troppo tranquillo. Insomma un poliziesco piuttoso fiacco, se lo avesse girato un bianco con attori bianchi non se lo sarebbe filato nessuno.
Terribili le musiche di Isaac Hayes, sono solo canzoni che descrivono il protagonista e le situazioni: " Ed ecco Shaaaaft che tira fuori il suo cannone e spara ai tipi duri del ghettooo" E poi bam i personaggi iniziano a parlare e la musica viene troncata di netto nel mezzo di una strofa, puro genio.

Ecco il celeberrimo tema di Shaft:
Who's the black private dick
That's a sex machine to all the chicks?
SHAFT!
Ya damn right!

Who is the man that would risk his neck
For his brother man?
SHAFT!
Can you dig it?

Who's the cat that won't cop out
When there's danger all about?
SHAFT!
Right On!

They say this cat Shaft is a bad mother
SHUT YOUR MOUTH!
I'm talkin' 'bout Shaft.
THEN WE CAN DIG IT!

He's a complicated man
But no one understands him but his woman
JOHN SHAFT!

Ed eccolo cantato da Bart e Lisa Simpson:





Ora però non riesco a smettere di dire "can you dig it ?"

Giorni prima avevo visto Black Dynamite, parodia geniale del genere blaxploitation. Dovrei rivederlo adesso per apprezzare tutti i riferimenti ai cliché di questo terribile filone cinematografico: i primi piani che indugiano troppo, il karate, le cospirazioni vastissime che arrivano fino alla casa bianca, le canzoni di cui parlavo poco fa... Insomma un film divertentissimo che tanto per cambiare sa parodizzare in modo intelligente, ve lo consiglio.

Da vedere tutti rigorosamente in lingua originale.

lunedì 5 dicembre 2011

Il grande silenzio

No, non posto per scrivere un commento sul film di Corbucci, scrivo solo per ribadire l'ovvio: da un paio di mesi, forse tre, non ho postato nemmeno un paio di righe, un pò per pigrizia, un pò perché sono ricominciati i corsi universitari e ho faticato molto ad ingranare dopo l'anno "sabbatico".
Per fortuna un pò di tempo per vedere qualche film lo trovo sempre, soprattutto per le schifezze, quindi cercherò di ricominciare a scrivere qualcosina qui sul blog, magari commenti più brevi finché non finisce la sessione d'esame.

Un saluto rivoluzionario

mercoledì 12 ottobre 2011

Una serata con Enzo G. Castellari

Proprio in questi giorni, per l'esattezza dal 10 al 15 ottobre, si sta svolgendo il Novara Cine Festival. Un'iniziativa che va avanti dal 2004 e che fino ad oggi ho accuratamente evitato.
Quest'anno però il festival è dedicato al cinema di Enzo G. Castellari, regista di film cult come Keoma, Vado l'ammazzo e torno, Quel maledetto treno blindato, La polizia incrimina la legge assolve, L'ultimo squalo... Si insomma "Me cojoni!", come direbbero gli spettatori di Stracult.
Proprio Quel maledetto treno blindato è stato recentemente omaggiato da Quentin Tarantino nel suo  Inglourious Basterds. Non un remake, come molti lo avevano frettolosamente etichettato, ma un omaggio appunto, a partire dal titolo, che ricalca quello americano del film di Castellari: The Inglorious Bastards.
Per chi non lo avesse notato, il regista romano fa anche una comparsata alla fine del film, è uno dei gerarchi nazisti che urla "Fire!" nel cinema di Shoshanna.

Ma arriviamo al punto: ieri sera il festival è stato aperto ufficialmente con la proiezione di Quel maledetto treno blindato in un cinemino di Novara, per l'occasione era presente Castellari in persona che oltre a presentare il film ha anche ritirato un bruttissimo premio.

Vado con le foto sfuocate ? Vado.

Ecco il regista che si crogiola nell'affetto dei fan:

Qui risponde alle domande dell'impacciatissimo direttore del festival, che tra parentesi non ne ha azzeccata una. Prima ha pronunciato la parola "poliziottesco" provocando le ire del truce regista, poi ha staccato per sbaglio il cavo del microfono e infine ha interrotto le domande per far salire la giuria sul palco. Una giuria che costituiva il 50% del pubblico in sala.


Qui Castellari descrive l'incontro con Quentin Tarantino e la compianta Sally Menke.
Ha anche raccontato uno strano aneddoto sul suo film. Pare infatti che durante gli anni di piombo fosse illegale utilizzare armi vere nelle produzioni cinematografiche italiane. Quindi per girare sparatorie ed esplosioni ha dovuto spostarsi all'estero e filmare separatamente i campi e i controcampi.
Ha anche accennato agli enormi incassi di L'ultimo squalo, un plagio di Lo Squalo. In quegli anni erano film di serie B come quelli a procurare i fondi per il cinema d'autore. Adesso invece con gli incassi delle porcate ci giriamo altre porcate.


Ecco invece la giuria al completo. Non mi ricordo un nome, comunque c'erano un paio di conduttrici radiofoniche, una giornalista, un regista di cortometraggi, un compositore, un'attrice, un critico cinematografico e un disegnatore che sta colorando il numero 300 di Dylan Dog.


Castellari giustamente perplesso per l'intervista lasciata a metà. Anzi sembra più che non gliene freghi nulla di quello che stanno dicendo. Hey sta guardando me!


Ed ecco finalmente la premiazione imbarazzante. Allora, dopo 30 minuti sul palco Castellari viene fatto scendere. Poi il direttore del festival si ricorda del premio e glielo ammolla così, una cosa di classe.
Castellari allugandosi per prenderlo ha detto "Embè m'o dai così ?". Per i non romani "Oibò giovanotto, è codesto il modo di consegnarmi il vessillo ?"
La bionda in basso a destra è la moglie, chissà quante volte ha dovuto rivedere il film. 
"Ah Enzì, ancora co sti film de guera ?"

Nonostante la situazione fastidiosa è stato simpaticissimo, è uno di quei registi recentemente rivalutati che non si è montato troppo la testa.
Alla fine è stato circondato da degli anziani che hanno iniziato a parlare di treni, politica e film d'azione. A quanto pare all'epoca Castellari era considerato un regista fascista. Un pò come Silvio Orlando ne Il Caimano.
Per fortuna siamo riusciti ad avvicinarlo. Aveva fretta ma ha comunque firmato qualche autografo (solo per noi tre) e fatto qualche foto. 

Eh si, quello sono io. Naturalmente la mia è stata l'unica foto mossa, per fortuna così piccola non si vede.



L'autografo. Ovviamente ha sbagliato a scrivere il nome.
Ci vanno due "c" li mortacci sua!



Tiè, beccatevi anche il rospo che ho trovato vicino al cancello l'altra sera.


martedì 11 ottobre 2011

Bronson e Valhalla Rising di Nicholas Winding Refn

In occasione dell'uscita di Drive (si beh, ormai uscita dalle sale, siete ancora in tempo per andare a vederlo) ripropongo due vecchi commenti brutti e sconclusionati:

Valhalla Rising




E' difficile parlarne, e soprattutto è difficile parlarne bene. Volendo riassumere la trama non saprei bene cosa dire, perché anche in quel poco che succede sullo schermo ci sono pochissime coordinate; sappiamo solo che un guerriero muto e con un occhio solo si libera dai suoi aguzzini dopo averli massacrati, poi, insieme a un ragazzino, si unisce a un piccolo gruppo di "crociati" diretti in terra santa. Questa temibile armata di sei o sette persone ha però dei seri problemi ad orientarsi, infatti la nave su cui viaggiano li porta da tutt'altra parte, probabilmente nel nord America.
Qui il film perde la bussola, se mai ne ha avuta una, e i personaggi cominciano a fissare l'orizzonte e a sproloquiare, però ognuno parla con se stesso e non presta alcuna attenzione a quello che dicono gli altri. Si insomma, diciamolo chiaramente, la seconda parte del film ricorda le scene di Amore e Guerra dove vengono parodiati i drammi da camera di Ingmar Bergman.
"One-Eye mi ha parlato, ha detto che siamo all'inferno"
"Io sono qui per vedere i miei figli, loro sono morti in battaglia"
"Non abbiamo trovato la Terra Santa, ma questa sarà la mia nuova Gerusalemme, tu sarai il mio consigliere spirituale"
"Hahahah"
"Grano, enormi campi di grano, gigantesche distese di grano dorato."
E così via... Peccato eh, perché l'inizio era incoraggiante, soprattutto visivamente. E' tutto molto sporco e fisico, come dovrebbe essere un film "storico" di questo tipo, dalla violenza brutale e spietata dei combattimenti, alle vallate perennemente inondate dalla nebbia e ricoperte dal fango in cui i protagonisti vivono e si trascinano. Ma dal punto di vista narrativo è una presa in giro, non bastano i silenzi e qualche interrogativo filosofico lanciato nel vuoto a fare una storia che vale la pena di essere girata.


Bronson


Refn mi lascia di nuovo perplesso, anche in questo caso non so davvero cosa dire.
Michael Peterson, in arte Charles "Charlie" Bronson, è il detenuto più pericoloso d'Inghilterra. Arrestato per rapina nel 1974, dopo un furto di ben 26 sterline, viene condannato a una pena di 7 anni, che però diventano 14 dopo una serie di rapimenti, sequestri di persona e violenze contro detenuti e guardie. A causa del suo comportamento estremamente violento, Bronson viene trasferito ben 120 volte, passando per diversi penitenziari e tre manicomi. Il 30 ottobre 1988 finisce di scontare la pena, ma dopo 69 giorni viene di nuovo arretato per rapina, poi liberato nel '92 e riarrestato dopo 54 giorni.
Il film racconta molto liberamente questa parte della sua vita, dipingendola in chiave estremamente surreale. Attraverso vari flashback e ellissi temporali vengono raccontate le sue gesta e i trasferimenti che tanto detestava, mentre tra una scena e l'altra Bronson si racconta in modo piuttosto rozzo parlando alla telecamera o agli spettatori di un teatro. Il film non si sforza nemmeno di dare una dimensione alla sua follia, e anche queste parti autobiografiche sono completamente prive di valore. Bronson è in cerca di celebrità e l'unico modo che ha di ottenerla è farsi una fama terribile all'interno dei carceri, massacrando le persone a mani nude senza alcuna ragione. Quando è in cella fa di tutto per restarci, quando è fuori sembra non vedere l'ora di rientrare, sembra solo un guscio vuoto. E forse il pregio del film è proprio questo, non è ne un'apologia del personaggio ne la sua mitizzazione, è solo il racconto incoerente di una figura insondabile, forse persino un completo idiota.
L'altro aspetto degno di nota è il tono completamente grottesco e surreale con cui è raccontata la vicenda, una serie di scenette slegate che sembrano fuori dallo spazio e dal tempo, popolate da personaggi spesso molto più ambigui di Bronson, come ad esempio lo zio Jack e tutta la sua brigata di travestiti.
E poi c'è un indimenticabile Tom Hardy, enorme, completamente pelato e con dei baffi fantastici che gli invidio tantissimo, praticamente il film si regge solo su di lui. Oltre al vistoso lavoro fatto sul fisico, si fa notare anche per lo splendido accento masticato e incomprensibile con cui sbraita sputazzando contro i secondini terrorizzati. In una scena ti strappa il sorriso con delle bellissime espressioni da pazzo e le risatine isteriche, in quella dopo invece diventa realmente spaventoso e riesce a generare una tensione palpabile, come quando fissa la vittima di turno in silenzio, pronto a esplodere da un momento all'altro.
Rispetto a Valhalla Rising mi sembra un film più riuscito, forse perché il caos e l'irrazionalità si prestano meglio a raccontare la storia di un personaggio del genere, eppure sembra soffrire degli stessi difetti, punta quasi tutto sul lato visivo riducendo all'osso quello narrativo. Purtroppo un paio di buone idee non bastano a fare un film, e il lato tecnico non è così memorabile da eclissare le altre mancanze.

Alcune imprese:


In 1983, Bronson took hostages and staged a 47-hour rooftop protest at Broadmoor, causing £750,000 of damage.
In 1994, while holding a civilian librarian hostage at Woodhill Prison, Milton Keynes, he demanded an inflatable doll, a helicopter and a cup of tea as ransom. Two months later, he held deputy governor Adrian Wallace hostage for five hours at Hull prison, injuring him so badly he was off work for five weeks.
In 1998, Bronson took two Iraqi hijackers and another inmate hostage at Belmarsh prison in London. He insisted his hostages address him as "General" and told negotiators he would eat one of his victims quickly unless his demands were met. At one stage, Bronson demanded one of the Iraqis hit him "very hard" over the head with a metal tray. When the hostage refused, Bronson slashed his own shoulder six times with a razor blade. He later told staff: "I'm going to start snapping necks – I'm the number-one hostage taker." He demanded a plane to take him to Cuba, two Uzi sub-machine guns, 5,000 rounds of ammunition, and an axe. In court, he said he was "as guilty as Adolf Hitler", adding, "I was on a mission of madness, but now I'm on a mission of peace and all I want to do now is go home and have a pint with my son." Another seven years were added to his sentence.
In 1999, he took Phil Danielson, a civilian education officer, hostage at Hull prison.He can be seen in CCTV footage singing the song "Yellow Submarine", walking around with a makeshift spear (after having caused havoc inside the prison) and causing the wing to be locked up for over 40 hours.
In 2007, two prison staff members at Full Sutton high security prison in the East Riding of Yorkshire were involved in a "control and restraint incident", in an attempt to prevent another hostage situation, during which Bronson (who by now needed spectacles) had his glasses broken. Bronson received £200 compensation for his broken glasses, which he claimed were made of "pre-war gold" and given to him by Lord Longford

Corro in libreria a comprare il suo manuale su come fare attività fisica in spazi chiusi.

sabato 8 ottobre 2011

Drive di Nicholas Winding Refn


Questo Drive mi fa pensare ad un bel viaggio notturno in macchina. Si sprofonda subito in un sedile comodissimo e ci si gode il paesaggio mentre delle musiche bellissime dai ritmi ipnotici ci fanno sprofondare in un piacevole torpore. Il viaggio è comodo e silenzioso, come la storia d'amore tra il protagonista senza nome e la bella donzella in pericolo, un amore fin troppo casto e platonico, fatto solamente di sguardi e sottintesi.
Poi gradualmente si prende velocità, senza accelerate brusche, e inizia l'inesorabile discesa verso la cruda realtà. Il guidatore si rivela per quello che realmente è, un folle senza una direzione, di giorno è un meccanico di auto e stuntman professionista, di notte autista freddo e infallibile che offre i suoi servizi a ladruncoli vari. Dei soldi e della carriera nel mondo delle corse sembra interessarsi poco, è più uno strumento senza vita in mano a chiunque voglia approfittarne. Insomma non il classico eroe senza macchia e dall'armatura lucente ma nemmeno il tipico antieroe dei film d'azione hollywodiani. "Driver" è a tutti gli effetti uno psicopatico pronto ad esplodere, e anche quando a guidarlo sono l'amore e la paura per le persone care, le sue azioni sono brutali e spietate. Un individuo alienato che si veste e agisce come uno dei personaggi dei film in cui lavora (e forse la scena della maschera diventa emblematica in questo senso), cinematografico negli atteggiamenti e nella vendetta.
Dicevo prima senza accelerate brusche, perché il ritmo del film in realtà è molto ben dosato. La prima parte estremamente piacevole e distesa prepara il terreno a un secondo tempo carico di tensione, con un'esplosione di violenza animalesca che lascia lo spettatore completamente spiazzato.
Senza ricorrere all'azione frenetica e senza trasformare il film in un action classico e banale, Refn riesce a dare dinamismo alla storia e a girare degli inseguimenti automobilistici veramente notevoli.
Ottima la fotografia che valorizza molto i notturni losangelini e interessantissimo uso del montaggio in alcune scene, dove parallelamente vengono portate avanti più linee temporali differenti. Grandiose anche le musiche, si sposano perfettamente con l'atmosfera notturna di cui parlavo all'inizio. Non avrei mai pensato di potermi innamorare di una colonna sonora elettropop.
Insomma Drive è un film che trasuda stile da tutti i pori, è contemporaneamente un omaggio ai noir e polar classici, oltre che a diversi altri generi, e un noir moderno con una sua precisa identità. Una delicata storia d'amore ma anche un film di genere duro e puro. E' sporco, violento e splatter, ma anche elegante e raffinato. Non ero impazzito per Bronson e Valhalla Rising ma ho amato alla follia quest'ultimo lavoro di Refn, che secondo me con una buona sceneggiatura non originale tra le mani se la sa sbrigare davvero egregiamente.



Straconsigliato.



martedì 27 settembre 2011

La pelle che abito di Pedro Almodovar





Non ci posso fare niente, amavo l'Almodovar primo periodo, quello più colorato, spagnolo e divertente, e amo altrettanto l'Almodovar maturo degli ultimi due film (Abbracci spezzati e quest'ultimo). Ha perso in colore quello che ha guadagnato in eleganza, ma sotto sotto è rimasto lo stesso.

La pelle che abito è un'adattamento di Tarantola, un romanzo di Thierry Jonquet. Il libro non l'ho letto e prima del film non ne avevo mai sentito parlare, ma pare che Almodovar lo abbia pesantemente rimaneggiato in fase di sceneggiatura. Il risultato è ottimo e potrebbe tranquillamente trattarsi di una sceneggiatura originale, perché i temi, le situazioni e i personaggi sono quelli tipici dell regista spagnolo.
Il film è stato presentato per la prima volta al Festival di Cannes, e da allora se n'è parlato parecchio, spesso a sproposito. Qualcuno lo ha massacrato e qualcuno lo ha promosso con qualche riserva, mentre trailer e recensioni lo pubblicizzavano come "il thriller secondo Almodovar", un omaggio al cinema di genere e a film come Occhi senza volto (splendido, se non lo avete visto fatelo subito).
Tutto vero fino a un certo punto, perché la pellicola è così particolare e personale che secondo me è sbagliato tentare di incasellarla in un genere che chiaramente le sta troppo stretto.
 E qui mi fermo, proprio per non fare lo stesso errore di tanti recensori che scelgono di rivelare troppo. E in questo caso sarebbe un vero delitto.
Insomma mi risparmio anche il solito riassunto della trama, un pò per le ragioni di cui sopra, un pò perché mi troverei in difficoltà a descrivere una storia così bizzarra e dallo sviluppo molto poco lineare.
Proprio questo aspetto all'inizio lascia un pò spiazzati e perplessi. La prima metà del film infatti prosegue piuttosto spedita lasciando lo spettatore in preda a tanti dubbi e con pochissime certezze. Qualcuno lamentava la mancanza di ritmo, mentre a me è sembrato addirittura troppo serrato, in pochi minuti succede l'impossibile e all'improvviso parte un flashback che contribuisce a complicare ulteriormente le cose. L'interesse però rimane sempre vivissimo e da metà film in poi tutti i pezzi vanno al loro posto, mentre ci si rende conto che la narrazione cronologicamente disordinata sta funzionando alla perfezione.
Una storia completamente folle e irrazionale che gradualmente acquista un senso e arriva alla sua conclusione più logica, non nel "colpo di scena" facilmente prevedibile già a metà del cammino, ma in tutta la sequenza finale, dove finalmente ritroviamo l'Almodovar che si fa riconoscere così bene.
Una sceneggiatura difficile gestita alla perfezione e diretta ancora meglio.
Dicevo prima che la regia di Almodovar si è fatta più seria: le immagini hanno perso l'allegria e i colori caldi di film come Donne sull'orlo di una crisi di nervi, ma allo stesso tempo la fotografia si è fatta più pulita e le inquadrature più ricercate. L'effetto finale è veramente raffinato ed elegante, e comunque non mancano una certa originalità nella composizione delle immagini o una cura particolare nella scelta delle scenografie e degli oggetti di scena.
Davvero accattivante.


Buono anche il cast, a partire dalla bellissima e brava Elena Anaya (che occhi ragazzi, spero diventi la nuova attrice feticcio di Almodovar) in un ruolo non proprio facile; e si, persino l'odiatissimo Antonio Banderas mi è piaciuto, tetro e insondabile quanto si addice al suo personaggio.
Menzione d'onore anche per la tostissima Marisa Paredes e per il personaggio del Tigre, rozzo e straniante.














Bellissimo, vedetelo di corsa.

lunedì 12 settembre 2011

When you're strange di Tom DiCillo


Documentario sui Doors del 2010 uscito direttamente in Home Video, riassume forse troppo brevemente la storia della band dalla nascita nel 1965 alla morte di Jim Morrison nel 1971. Narrato dalla bella voce suadente di Johnny Depp e doppiato in italiano da quella di Morgan... Ovviamente me lo sono visto in lingua originale, un pò perché trovo Morgan estremamente irritante e un pò perché Depp mi piace ancora, nonostante le discutibilissime scelte professionali. E poi vedendo il backstage mi pare che Morgan si sia preso qualche libertà di troppo, magari è veramente una persona preparata, ma mi pare che si sforzi troppo per dimostrarla questa cultura.
Tornando al film: abbastanza deludente, almeno per me che conosco piuttosto bene il gruppo e che per qualche strana ragione mi ero creato delle aspettative sproporzionate per questo documentario. In realtà è un prodotto discreto, che riesce della difficilissima impresa di riassumere in 86 minuti una fase musicale e storica fondamentale, creando un ritratto di Morrison e dei Doors abbastanza completo, sia per chi come me li adora, sia per chi malauguratamente non ne ha mai sentito parlare.
La struttura è piuttosto classica, la voce narrante apre il film con qualche dettaglio sul periodo storico e culturale in cui il gruppo prende vita, e poi iniziano una serie di filmati e foto di repertorio alternati a una parte di fiction in cui un sosia di Morrison viaggia in macchina in mezzo al deserto, mentre la radio trasmettei dettagli sulla sua recente dipartita.
Ecco, se la parte documentaristica funziona dignitosamente, questi intermezzi sembrano alquanto inutili e fuori luogo. Non aggiungono nulla al prodotto finale e anzi rubano dello spazio che avrebbe potuto essere utilizzato per rendere il documentario più completo.
E poi boh, Morrison che guida e dà un passaggio a se stesso, si ferma vicino alla carcassa di un cane o balla davanti a un falò in mezzo al deserto insieme a dei bambini... Ma che significa ? Mi sembra stupido e stereotipato.
Il resto invece funziona alla grande e nella mischia ho beccato anche qualche filmato che non avevo mai visto, però allo stesso tempo ho avuto la sensazione che mancassero tanti dettagli e materiali che avrebbero sicuramente arricchito la ricostruzione. Probabilmente DiCillo ha preferito montare materiale nuovo, evitando di rubacchiare da altri documentari o da filmati di repertorio di cui in passato ci si è serviti troppo. E questa sensazione è confermata anche dal fatto che il suo film si sofferma molto poco sui fatti più noti al pubblico, come per esempio la famosissima esibizione all'Ed Sullivan Show, preferendo magari approfondire meglio qualcosa di meno scontato come il processo a Morrison dopo i fatti di Miami. Una scelta che personalmente ho apprezzato molto e che ci mostra un Morrison più umano, costretto per la prima volta ad affrontare una sconfitta.
Mi sarebbe piaciuto vedere un pò più di spazio dedicato al gruppo nel suo insieme, alle sue grandi potenzialità e alle conseguenze dei comportamenti di Jim, ma in fondo il protagonista è ancora una volta lui.

L'inizio da solo vale la visione:















Hahahah un sorriso bellissimo. Sembra quello di un bambino: "Non avete idea di cosa vi aspetta".
Lo amo, e amo anche Manzarek.

Ah, nei contenuti speciali c'è una bella intervista al padre e alla sorella di Morrison, non capisco perché non le abbiano inserite nel film, è materiale inedito.
Mi piace il padre perché, come il figlio, è rimasto sempre molto coerente. Dopo aver sentito la prima canzone nel 1966 telefonò a Jim e gli disse che secondo lui era completamente privo di talento musicale, nell'intervista del 2009, dopo tanti anni e tutto quel successo, dice di pensarla ancora così. "Era un grande intrattenitore, ma un pessimo cantante".

sabato 10 settembre 2011

Manos - The hands of fate di Harold P. Warren

Manos - The hands of fate
Scritto, diretto, prodotto e interpretato da Harold P. Warren



Huhuhu probabilmente il peggior film della storia, e comunque il podio non glielo leva nessuno. Sembra un filmino delle vacanze, vacanze terribili.
Warren lo realizzò nel 1966 come penitenza per una scommessa persa, e già questo la dice lunga, poi nel 1993 il film venne mostrato nell'ultimo episodio della serie Mistery Science Theater 3000 e da quel momento è diventato un fenomeno di culto per tutti gli amanti del trash prepotente. Si dice che Tarantino abbia acquistato la pellicola originale per la sua collezione personale perché, pur essendo un horror, lo considera la sua commedia preferita.
Ma andiamo per ordine:
La trama, che raccontata così potrebbe anche sembrare decente, è già di per se un capolavoro. Michael (Warren), sua moglie Margareth e la piccola Debbie stanno facendo un bel viaggetto sul una Ford Galaxy decappottabile, gli abiti che indossano sono degli anni '50 e la località desertica sullo sfondo è El Paso.
Michael è il classico padre di famiglia, si è perso ma non vuole ammetterlo, però la moglie è una scassapalle che si lamenta di tutto e gli fa pesare la cosa.
Finalmente raggiungono la svolta per Valley Lounge e imboccano una strada in pieno deserto, incontrano una coppietta intenta a pomiciare e sbevazzare, e poi si perdono di nuovo... A questo punto, nonostante sia ancora pomeriggio pieno, la moglie sottolinea con acidità "Si sta facendo buio, torniamo indietro".
E così fanno, ma a metà strada si imbattono in una casa che prima non avevano notato. Sulla soglia c'è lui:

Torgo, interpretato da John Reynolds, anche se sembra Neri Marcorè quando imita Gasparri. L'"attore" era un tossicodipendente (la cosa è evidente), che si è suicidato 6 mesi dopo l'uscita del film, non ci giurerei ma credo che i due fatti siano in qualche modo collegati.
Insomma Torgo, che ha un tema musicale tutto suo, è un servitore storpio con un bastone, sulla cui sommità compare una mano di metallo. Il poveraccio ha delle ginocchia enormi (secondo Warren doveva sembrare un Satiro) e zoppica come un pazzo con le convulsioni, forse reali sintomi di astinenza, quindi per fare qualsiasi movimento impiega un'eternità. Anche quando parla tende ad essere evasivo o molto ripetitivo e i suoi occhi non si fermano un attimo. Il classico fattone che non ce la fa a stare dietro al discorso e si annoia.
Tanto per peggiorare le cose, l'allegra famigliola lo costringe a fare avanti indietro con i bagagli e la cosa diventa davvero esilarante.
Questo spassoso servitore fa la guardia alla casa, mentre il suo misterioso Maestro è assente, ma è sempre con lui, ma è assente, anche se è sempre con lui.
Intanto l'allegra famigliola sente puzza di guai, il loro cagnolino scappa e viene divorato da qualche animale del deserto, e la bambina si fa delle penniche profondissime, ma dipende un pò dalle inquadrature.

Tagliando corto, il maestro è uno che somiglia a Frank Zappa ma ha una bellissima tunica nera decorata da gigantesche mani rosse, riposa nel deserto e ogni tanto si sveglia per aggiungere una nuova moglie alla collezione, però Torgo, invaghito di Margareth, si ribella al maestro e viene punito in modo fintroppo delicato, mentre le altre mogli si lanciano in una lunghissima cat-fight per decidere se uccidere o no la bambina.
Ah dimenticavo, il maestro venera una divinità chiamata Manos, ma il film rimane un pò sul vago in proposito.
Una vera sceneggiatura spacca mascella, ma il meglio sta tutto nella regia e nelle interpretazioni magistrali.

Bisogna premettere un paio di cose:
Vedendo il film è difficile non notare i milioni di tagli con cui è stato mutilato, all'inzio pensavo fossero dovuti alla totale mancanza di preparazione del regista e del montatore, se ce n'è stato uno, invece solo ora scopro che è tutta colpa della macchina da presa, una Bell & Howell da 16mm a mano che permetteva di girare solo per 32 secondi alla volta.
Quindi potete tranquillamente immaginare il grande dinamismo della pellicola. Ogni scena di dialogo è interrotta da diversi tagli, con cambi di inquadratura e di luminosità belli quanto utili. Oppure ci sono 30-40 tagli tutti sulla stessa inquadratura, alternati a qualche raccordo in asse e a un sacco di primi piani con luce e colori completamente sballati. Anche per queste ragioni l'intero film è stato poi pesantemente rimaneggiato in post produzione, e tutti i dialoghi sono stati ridoppiati da soli tre attori.
In post-produzione dovevano anche essere aggiunti dei titoli di testa, però qualcuno si è dimenticato farlo e allora è rimasta solo una lunghissima e inutile sequenza del viaggio in auto con la solita valanga di tagli e scenografie che si ripetono in continuazione.
Altra cosa importante è l'assenza dell'effetto notte. Le scene notturne sono state veramente girate di notte in mezzo al deserto, così le luci di scena attiravano un sacco di insetti che sono visibili abbastanza chiaramente nella versione finale del film.
Probabilmente la bambina che interpretava Debbie era troppo piccola per stare sveglia fino a tardi, perché durante il film la vediamo spesso profondamente addormentata sullo sfondo, sul divano di una delle tre location. Probabilmente ogni tanto tentavano di svegliarla, infatti in un'inquadratura è sdraiata mentre in quella dopo è seduta, e così via...
Naturalmente le poche luci a disposizione bastavano soltanto per illuminare gli attori, che quindi non potevano muoversi molto o allontanarsi dalla posizione iniziale. Da qui una scena spassosissima: due poliziotti sentono degli spari nel deserto e scendono dalla macchina, ma non potendo fare nulla, fingono delle facce preoccupate e risalgono tranquillamente in macchina come se niente fosse.
Come se non bastasse ci sono anche tantissimi blooper. Le penniche della bambina, la madre che da un'inquadratura all'altra si perde il foulard, varie linee di dialogo incoerenti e slegate dal contesto, insetti che sbattono contro l'obiettivo, fotografia saturatissima, ciak in bella vista, battute ripetute sempre per due volte, cani al guinzaglio che non vedono l'ora di andarsene...
Un paio di situazioni meritano assolutamente di essere citate:
- La coppia che pomicia in macchina.
In pratica l'attrice femminile avrebbe dovuto vedersi di più, ma si era rotta una gamba poco prima e quindi in ogni scena è seduta in macchina in braccio al fidanzato. Durante una delle scene che li riguardano si vede benissimo il ciak che passa davanti all'obiettivo:

Memorabile la reazione di lei davanti ai rimproveri dell'agente di polizia "Why won't you guys leave us alone ?"
Ma guys chi ? Boh.
-Il supplizio di Torgo
Come dicevo prima, Torgo viene punito dal maestro per la sua insubordinazione. La pena dovrebbe essere la morte, ma all'inizio viene semplicemente messo in un angolo in preda alle solite convulsioni. Poi, sdraiato su un altare, viene "torturato" dalle mogli infoiate, che in realtà lo stanno solo massaggiando.
Solo alla fine il maestro lo prende per il braccio e gli stacca la mano riducendola in fiamme, mentre il povero Torgo corre nell'oscurità rischiarata solo dal suo moncherino.
Una scena che oserei definire trascendentale.
-La fuga di Debbie
Dopo la morte del cagnolino, la madre non sa come spiegare la cosa alla bambina ma il padre risponde rassicurante:
"She's my baby, she will understand. She's my baby, she will understand."
Si esatto, lo ripete due volte.
Nel frattempo Debbie alle loro spalle esce dalla stanza, dopodiché lui si volta inorridito e urla "Where is she ?!?!".
Detta così non fa ridere, ma vi assicuro che mi mancava il fiato.
-Le mogli del Maestro
Tutte modelle di El Paso. Sono divertenti perché gesticolano come delle vedove sicule, e poi per la lunga lotta già citata. Si prendono a schiaffoni ma lo fanno in modo delicatissimo.
-Dimenticavo la cosa più importante, le musiche!
In realtà sono due. La prima, il tema principale, è una musichetta da film erotico con ritmo sincopato e molto clarinetto. Non c'entra assolutamente niente con nulla, e accompagna indiscriminatamente sia le scene più tranquille sia quelle che dovrebbero trasmettere tensione. Praticamente ricopre il 90% del film.
E poi c'è il tema di Torgo, una musica da pianoforte che ricorda tanto quelle dei film espressionisti tedeschi.
Vi assicuro che i primi venti minuti sono un'esperienza unica. Dieci minuti di viaggio in macchina senza dialoghi e con questo ritmo ipnotico... Veramente fantastico.

Vedetelo!

mercoledì 7 settembre 2011

Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci

Dopo il colpaccio di Zombi 2 a Fulci viene proposto di continuare con i morti viventi, e lui tira fuori la celebre trilogia composta da Paura nella città dei morti viventi, L'aldilà e Quella villa accanto al cimitero, tutti e tre caratterizzati dalla presenza degli ormai commercialissimi zombie. Al contrario del film di Romero e del sequel apocrifo, qui i morti vengono riportati in vita da oscure e antiche maledizioni mentre l'aspetto scientifico viene del tutto sacrificato. In realtà tutta la trilogia sembra fortemente influenzata dall'horror gotico classico e soprattutto dalla letteratura di H.P. Lovecraft, che in questo primo film viene anche omaggiato indirettamente.
Passiamo alla trama, che tanto per cambiare è il problema più grosso del film.
Tutto inizia con Padre Thomas, il pastore della città di Dunwich, che dopo aver passeggiato per un pò nel cimitero cittadino sceglie un albero e si impicca.
Nel frattempo a New York si sta tenendo una seduta spiritica, ma la medium perde il controllo e una partecipante, Mary, perde i sensi e muore dopo aver farfugliato qualcosa su una città dei morti viventi.
Il reporter Peter Bell vuole vederci chiaro sulla faccenda e senza alcun motivo logico va ad assistere alla sepoltura di Mary. Ma la giovane improvvisamente torna in vita e lui, nonostante il terribile taglio di capelli, se ne accorge e la salva.
La medium naturalmente sapeva già tutto, perché quello che sta accadendo è già stato scritto nel libro di Enoch, un volumone stampato e rilegato (?) la bellezza di 4000 anni prima.
Insomma la coppietta deve andare a Dunwich e trovare il sepolcro di Padre Thomas che con il suo suicidio ha inspiegabilmente liberato una forza capace di riportare in vita i morti.
Una sceneggiatura che purtroppo proprio non sta in piedi, anche se i veri problemi riguardano soprattutto la prima parte. La seduta spiritica, la resurrezione di Mary, il libro profetico di Enoch sono delle trovate davvero sciocche e inutilmente complicate, non solo abbassano i toni ma afflosciano il ritmo ancora prima di iniziare.
Pasticci difficili da ignorare, ma chi vede un film di Fulci, soprattutto se non si tratta di un giallo, non si aspetta finezze narrative e dialoghi teatrali, ed infatti i meriti del film risiedono altrove.
Prima di tutto le atmosfere: nulla di raffinato sia chiaro, ma la fotografia sporca e bluastra, la continua ricerca del macabro a tutti i costi e le musiche ipnotiche di Frizzi producono un risultato davvero notevole. Fulci non cerca di suscitare la paura attraverso suspence e tensione, come negli horror contemporanei o negli zombie movies classici, ma preferisce piuttosto basare tutto sull'immagine disgustosa e rivoltante, ricorrendo anche ad espedienti tipici dell'horror gotico, come ondate di lombrichi, fanghiglia e larve.
Neanche a farlo apposta, gli effetti speciali di Giannetto De Rossi sono il pregio principale di questo filmaccio e forse il motivo per cui ancora oggi è tanto celebre. Tra le tante cose, vale la pena citare la bufera di larve che ricopre i protagonisti, o la celeberrima scena in cui il defunto padre Thomas sorprende una coppietta durante il pomiciamento: lei inizia a sanguinare dagli occhi per poi vomitare le sue stesse interiora mentre lui, un giovane Michele Soavi, rimane a guardarla incredulo. C'è anche un bel cranio trapanato...
Peccato solo per il calo qualitativo nel finale, si vede che le fiamme hanno complicato molto le cose agli effettisti e agli stuntmen.
Questa valanga di schifezze, insieme a delle scenografie claustrofobiche e vissute, rendono Paura nella città dei morti viventi un horror visivamente molto appagante per gli amanti dell'orrido. Se sul piano narrativo lascia comunque molto perplessi, va anche detto che la struttura corale funziona davvero bene e il ritmo rilassato dona alla storia una certa oniricità, rendendola quasi una fiaba macabra.
Incredibilmente gli attori non sono i soliti cani e dei dialoghi non proprio pessimi gli danno una mano.

sabato 3 settembre 2011

Django di Sergio Corbucci



Un classico dello spaghetti western più celebre all'estero che in patria, venerato in Germania, dove verranno girati diversi cloni, e amatissimo in America, finirà addirittura nel Museum of Modern Art di New York. Il controverso Takashi Miike lo ha omaggiato direttamente nel suo Sukiyaki Western Django e Alejandro Jodorowki, in un intervista a Stracult, ha persino dichiarato che Django è il suo film preferito(il che spiega un sacco di cose).
Franco Nero in uno dei suoi primi grandi ruoli è Django, un pistolero dagli occhi azzurri vestito di nero che attraversa il deserto trascinando una vecchia e misteriosa bara. Arrivato nella più classica delle città senza nome al confine con il Messico, Django si infila subito in un saloon/bordello e aspetta l'arrivo del Maggiore Jackson, un militare sudista alla guida di un gruppo di fanatici razzisti incappucciati di rosso.
Diventa subito chiaro che il protagonista è in cerca di vendetta, ma cosa nasconde nella bara ? Il cadavere della defunta moglie da vendicare ? E' solo la bara destinata a ospitare il cadavere di Jackson ? E' qualcosa di mistico-religioso ? No, contiene solo un gigantesco gatling-gun. E a pochi minuti dall'inizio Django lo usa per massacrare 40 scagnozzi di jackson in pochi secondi.
Insomma tutto qui, uno spaghetti-western sanguinolento e sporco(non a caso l'aiuto regista è Ruggero Deodato), con decine di cadaveri, quantità considerevoli di sangue, orecchie tagliate e fatte ingoiare alla sfortunata vittima(pare che Tarantino in Le Iene citi proprio questa scena), mani spappolate da zoccoli di cavalli e i soliti schiaffoni dal suono fragoroso.
Corbucci è antitetico rispetto a Leone, alle tonalità calde e uniformi della Trilogia del Dollaro contrappone una serie di colori freddi, occasionalmente ricoperti da chiazze di un rosso sgargiante. L'aridissimo deserto è rimpiazzato da onnipresenti distese di fango che circondano una città morta, un paesaggio naturale forse più vivo ma dalle tinte estremamente grige.
Sulla regia non azzardo neanche un paragone, Corbucci in modo molto poco invadente si limita a inquadrare quello che succede, senza riuscire a donare alla storia l'epicità che gli sarebbe così indispensabile. La macchina da presa non esalta e non incornicia la tensione degli sguardi, la drammaticità di una morte, l'estasi di una vittoria, ma resta sempre e solo una spettatrice. L'unico fiacco tentativo è un ricorrente primo piano su Franco Nero con la testa abbassata e il volto coperto dal cappello, seguito da un leggero e inelegante zoom quando l'attore solleva il capo e fissa la macchina da presa.
Le musiche di Bacalov e Migliacci in questo senso non sono molto d'aiuto, anonime e confinate a un semplice ruolo di sottofondo. Ad affossarle completamente ci pensa l'improbabile canzone Django cantata da Ricky Roberts.
La storia, nonostante gli sforzi per nasconderlo, è molto simile a quella di Per un pugno di dollari(pare che sia stato proprio Corbucci a consigliare a Leone d rifare Yojimbo), ancora una volta un lupo solitario che arriva in città e sfrutta la rivalità tra due gruppi per raggiunger i propri scopi.
La "novità" sta tutta nel finale, a mio avviso abbastanza ridicolo e trascinato, che sembra voler gridare: Guardate, guardate cosa so fare, la scena è pregna di simbolismo!
Tirando le somme, il film non è niente di terribile, diverte come uno spaghetti-western dovrebbe fare, e, a parte nel finale, non cerca mai di strafare. E' orgogliosamente grezzo e sporco e a suo modo ha rinnovato il genere. Non mi spiego comunque l'incredibile successo all'estero, come per molti altri titoli.

Il problema con questo genere di film è che Sergio Leone ci ha viziati fin dall'inizio.

venerdì 26 agosto 2011

Generazione Proteus di Donald Cammell

Intanto qualche informazione su Cammell: suo padre, Charles Richard Cammell, era un poeta e scrittore scozzese, autore, tra le altre cose, di una biografia di Aleister Crowley, suo vicino di casa. Dopo una carriera da pittore, Donald esordisce nel cinema nel 1968, quando dirige Sadismo insieme a Nicolas Roeg. Il film, in cui compare un giovane Mick Jagger, viene massacrato dalla critica e probabilmente anche dalla censura, visti i contenuti molto espliciti. Keith Richards, lo stesso Mick Jagger e diversi altri attori raccontano che per tutta la durata del film l'intero cast, compresi operatori e macchinisti, si dedicava a gigantesche orge e all'abuso di droghe. Quindi molte delle scene forti non sarebbero simulate, compreso l'amplesso tra Jagger, Anita Pallenberg e Michèle Breton, e l'iniezione di eroina nella natica di Anita Pallenberg.
Keith Richards rimase in pessimi rapporti con il regista e un giorno gli consigliò addirittura di suicidarsi. Un paio di anni dopo Cammell si suicidò veramente, secondo i suoi conoscenti non era riuscito a sopportare i pesanti rimaneggiamenti imposti dalla produzione al suo ultimo film, Il tocco del diavolo.
La moglie racconta che Donald si sparò in testa da un'angolazione sbagliata e rimase in agonia per diversi minuti prima di morire, mentre aspettavano i soccorsi chiese un cuscino per non sporcare il tappeto e uno specchio per guardarsi mentre trapassava.
Insomma Generazione Proteus, in originale Demon Seed, è un film di fantascienza ispirato a un romanzo di Dean Koontz, quindi un'opera su commissione che a Cammell non interessava quasi per niente ma in cui è riuscito comunque a lasciare il segno.
Proteus IV è un'intelligenza artificiale molto avanzata costruita con componenti organiche ed elettroniche. Dopo la sua attivazione si dimostra più autonomo del previsto, sviluppa un forte senso morale e inizia ad interessarsi all'uomo. Sentendosi prigioniero nei terminali del laboratorio, trova il modo di "evadere" sostituendosi al computer domestico che gestisce la casa di Susan (Julie Christie), moglie del suo creatore. Dopodiché decide di ingravidarla per dare la vita ad un essere umano evoluto.
L'idea della fusione tra uomo e macchina è originalissima oltre che intrigante, e sono sicuro che questo film ha in qualche modo influenzato la cinematografia di Cronenberg, anche per quanto riguarda lo stile sporco ed essenziale dei primi lavori.
Con tutto questo buon materiale ci si aspetterebbe un bel film di fantascienza raffinato e profondo, invece Generazione Proteus punta più a creare un mix non del tutto riuscito tra fantascienza, horror e thriller. Proteus, prima che una mente superiore in cerca di una forma fisica, è un aguzzino pronto ad uccidere, torturare e "violentare", eppure rimane un personaggio geniale. Un'entità incorporea che più di tutto desidere godere di un'esistenza fisica, e non potendo ottenerla fa in modo di donarla a suo figlio. E' eterno ma capisce che la vera immortalità consiste nel creare o dare la vita. Peccato sia tutto un pò sbrigativo e superficialotto, come se il racconto originale fosse stato riassunto per questioni di tempo o snaturato per renderlo più leggero.
Si sente anche il peso di un budget limitato. Se si escludono le scene nel laboratorio, il film è ambientato tutto in una casa che di futuristico non ha quasi niente, anzi la cucina è degli anni '30. Le scenografie sono poche e poco varie, mentre l'effettistica si riduce a qualche braccio meccanico sbilenco e allo schermo/faccia di Proteus che trasmette continuamente immagini psichedeliche. Invece la struttura metallica fatta di piramidi in movimento mi è piaciuta un sacco, un'arma davvero inquietante.
Tutti questi difettacci dipendono soprattutto dal fatto che Generazione Proteus è invecchiato male, però non è difficile passare sopra ai segni della vecchiaia per godersi un discreto prodotto di intrattenimento e un film fantascientifico degno di essere ricordato.

lunedì 22 agosto 2011

Oxford Murders di Alex de la Iglesia


Bah leggendo le numerosissime recensioni negative mi aspettavo il peggio del peggio, invece non è affatto da buttare.
E' un whodunit piuttosto classico dalle premesse molto interessanti: Martin (Elijah Wood) è uno studente di matematica, o almeno credo, che finalmente ha la possibilità di realizzare il sogno della sua vita, studiare ad Oxford come ricercatore straniero e scrivere una tesi insieme al geniale Arthur Sheldon.
Dopo pochi giorni però la donna che lo ospita viene assassinata, il colpevole è qualcuno che conosce Sheldon e vuole sfidare la sua intelligenza con una serie di delitti. Martin e il suo mentore accettano la sfida e decidono di usare le loro particolari capacità deduttive per scoprire l'identità dell'assassino.
L'inizio non è affatto male e il ritmo mi pare piuttosto serrato grazie a una regia particolarmente vivace e dinamica, poi si accascia un pò nella parte centrale e rimonta nella sequenza della festa del 5 novembre e nel finale. Quindi personalmente non mi spiego la noia insopportabile percepita da tantissimi spettatori, e il bello è che prima di questo avevo visto già un paio di film ed ero piuttosto stanco.
Anche come giallo nella prima parte funziona discretamente, un pò per la validissima realizzazione tecnica, un pò per i divertenti battibecchi tra Martin e Arthur sull'attuabilità di un delitto perfetto e impercettibile (simpatica la storia di Howard Green). Mi ha colpito anche la ricchezza di dettagli e possibili interpretazioni che vengono sbandierate davanti allo spettatore.
Altro pregio è il tono leggero e un pò grottesco (la storia di Kalman) di tutta la faccenda, che a tratti ricorda uno dei racconti di Sherlock Holmes. C'è l'ispettore di polizia un pò ingenuo che si affida completamente alla coppia di matematici e non riesce a stare dietro alle loro deduzioni (un pò come per la coppia Holmes-Watson), e tanti altri personaggi al limite del caricaturale come Mrs Eagleton (Anna Massey, che con il giallo ha una certa dimestichezza), la nevrotica Beth (Julie Cox) con gli occhi perennemente spalancati... E poi c'è Dominique Pinon!
Ma passiamo ai difetti, o meglio, al difetto principale, il finale. Di per se non è malissimo, però, come forse avrebbe pensato Hitchcock, è disonesto nei confronti dello spettatore. Non tanto perché non ci fornisce le informazioni necessarie per arrivare alla verità, come ormai capita normalmente nei thriller, ma perché ci piazza subito davanti tante versioni sbagliate o incomplete. E poi c'è un'altra trovata di cui si abusa davvero troppo nei "gialli" moderni, il finale doppio o addirittura triplo che aggiunge rivelazioni su rivelazioni. A dirla tutta è proprio un colpo di scena banale e sottotono rispetto a ciò che sarebbe lecito aspettarsi dopo delle premesse così entusiasmanti. C'è da dire però che la situazione che si crea nell'ultimo delitto è abbastanza forte.
Nelle recensioni viene massacrato anche il cast, ma io mi sento di bocciare solo Elijah Wood, completamente fuori parte. Molto belle invece Julie Cox e la procace Leonor Watling, e non lo dico per le scene in topless, è proprio una bella donzella.
Visto che è l'adattamento di un romanzo, immagino si possa parlare di "lavoro su commissione", il classico film che un regista creativo è costretto a fare per poter lavorare ai progetti che gli interessano veramente. Eppure nonostante questo Alex de la Iglesia fa un lavoro registico notevole, veloce e dinamico. Basta guardare il lungo e complicatissimo piano sequenza che mostra tutti i personaggi principali prima della scoperta del primo delitto. La macchina da presa inquadra il viso di Beth nella sala delle prove, poi inizia a muoversi pedinando Dominique Pinon fin dentro una libreria, dopodiché piano piano esce dal negozio e incrocia John Hurt che percorre il marciapiede a passo svelto, lo segue per un pò inquadrandolo di profilo finché non incrocia Elijah Wood in bici, quindi inizia a seguire lui fino a casa. Quando l'attore si ferma e scende dalla bici, la macchina da presa svolta a sinistra e viene sollevata fino ad entrare dentro la finestra del primo piano dove fa una panoramica della stanza e finalmente inquadra il corpo della prima vittima. Sicuramente c'è qualche taglio o qualche trucchetto digitale, però quanto è bello!

Ora passo ai film più sentiti dal regista.
Bella la storia su Wittgenstein che scrive il Tractatus sul campo di battaglia in mezzo al fuoco incrociato. Immagino sia una licenza poetica, ma se fosse vero guadagnerebbe ancora più stima.

Anche voi siete tra i tanti detrattori ? Lo avete visto ? Qualcuno mi sta leggendo ? Commentate! Qui è tanto freddo e buio.

domenica 21 agosto 2011

The Hitcher di Robert Harmon


Avevo visto il remake al cinema e mi era sembrato piuttosto insulso, quindi ho sempre voluto recuperare l'originale per farmi un'idea delle differenze, che in realtà sono molto poche..
Qui il protagonista è uno solo, Jim, che trasportando una macchina da Chicago a San Diego si imbatte nell'inarrestabile John Ryder. Solo verso il finale sarà affiancato dalla cameriera Nash (Jennifer Jason Leigh), mentre nel remake i protagonisti erano una coppietta in viaggio.
L'idea di lasciare Jim da solo per la maggior parte del tempo funziona decisamente meglio, un pò come avveniva in Duel. Per lo spettatore è più facile immedesimarsi con lui, completamente sperduto in mezzo al deserto, con un nemico spietato e misterioso che può comparire da un momento all'altro in qualsiasi luogo. Mentre per la polizia è altrettanto facile sospettare di un ragazzo solo che viaggia con una macchina non sua, mentre tutti quelli che incontra finiscono ammazzati.
Insomma il film funziona alla grande finché Jim piange disperato davanti all'ennesimo gioco sadico di Ryder, poi però arriva Nash e la storia prende una piega che mi è piaciuta poco. Troppe pistole sfoderate e troppi improbabili gesti eroici, a partire da quello sul pullman in cui Nash si inguaia con la legge per un ragazzo che ha appena conosciuto e che molto probabilmente ha ucciso diverse persone.
Comunque anche a distanza di anni The Hitcher rimane un thriller divertente che mette in scena la giusta dose di sparatorie, esplosioni ed inseguimenti d'auto, senza sacrificare un'atmosfera quasi surreale, fuori dallo spazio e dal tempo. Non veloce ma ben ritmato.
Il grosso del merito va a Rutger Hauer, che crea un villain glaciale e invulnerabile quasi quanto Roy Batty. Un personaggio senza passato e senza identità, che uccide chiunque sia così sfortunato da capitargli a tiro. E' bellissimo vedere come tormenta Jim dandogli ogni volta l'illusione della salvezza, e quello sguardo da folle gli viene troppo bene.
Forse rispetto al remake ha il vantaggio di essere più sporco e meno serioso.

Rutger Hauer ha eseguito personalmente molti dei suoi stunt. Pare che nella sequenza finale, durante il salto dall'autobus alla macchina, si sia rotto un dente sbattendo contro il fucile. Si può vedere abbastanza bene al minuto 86, ed effettivamente si vede qualcosa saltare via ma a me era sembrato un pezzo di vetro del parabrezza.

venerdì 12 agosto 2011

Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana


Docudrama che racconta i fatti successivi alla morte di Pier Paolo Pasolini attraverso il processo a Giuseppe "Pino la rana" Pelosi.
Più che concentrarsi sulla ricerca dei veri responsabili, Giordana preferisce raccontare la storia delle persone coinvolte nel processo, denunciando le contraddizioni nella testimonianza di Pelosi, il modo approssimativo in cui si sono svolte le indagini e il ruolo controverso della stampa italiana.
Il protagonista in un certo senso è proprio Pelosi, lo seguiamo dal giorno dell'arresto a quello del processo, mentre parallelamente assistiamo anche a ciò che si sta svolgendo fuori, attraverso scene ricostruite o immagini di repertorio.
Le parti ricostruite riguardano principalmente gli amici e i parenti dello scrittore, personaggi che vengono anche coinvolti nel processo come avvocati, medici legali e testimoni. Quindi spazio anche al dramma delle persone vicine a Pasolini, senza però che questo aspetto prenda il sopravvento sul resto.
Le versioni di Pelosi vengono quindi smontate senza calcare troppo la mano (non ce n'è bisogno) : la ferita sulla fronte, che sarebbe stata inflitta da Pasolini con un bastone, è in realtà un taglio provocato dal tettuccio della macchina durante una frenata.
I vestiti di Pino hanno un paio di schizzi su maniche e caviglie, mentre il corpo della vittima è interamente ricoperto di sangue e fango.
Le armi del delitto sono un bastone marcio e un vecchio cartello di legno, che incredibilmente hanno staccato un orecchio alla vittima e lacerato delle vene, producendo solo un paio di schizzetti.
E infine la posizione del corpo e il segno di una ruota sulla schiena, eh si perché ci sono anche passati sopra con la macchina, dimostrano abbastanza chiaramente che chi guidava ha curvato intenzionalmente per investire il corpo, contrariamente a quanto aveva dichiarato Pelosi.
Come dicevo, il dito non viene puntato contro nessuno in particolare, e forse questo è uno degli aspetti più riusciti del film. Preme di più raccontare l'isolamento dell'intellettuale, la condizione dell'omosessuale e la responsabilità di una società che non è per forza direttamente responsabile di un delitto.
Anche senza ricadere nella questione dei complotti, che ovviamente è tutto fuorché da escludere, è importante notare quanto a una certa stampa italiana premesse di più raccontare la storia di un povero ragazzo molestato da un "frocio", invece che quella di un poeta brutalmente assassinato.
Insomma un filmetto modesto ma buono, che per fortuna evita eccessi di patetismo e sviluppa l'inchiesta in modo intelligente e abbastanza neutro.

Unica nota negativa, la presenza di Nicoletta Braschi nel ruolo della cugina di Pasolini. Insopportabile e assolutamente inespressiva, come sempre.
E' strano anche Furio Colombo interpretato da Andrea Occhipinti, ma lo hanno mai visto Colombo da giovane ?

giovedì 4 agosto 2011

Diabolik di Mario Bava


Il budget più alto che Bava abbia mai visto (200 milioni di lire) e uno dei più bassi mai concessi da Dino De Laurentiis.
Ispirato all'omonimo fumetto delle Giussani, porta sullo schermo in modo molto approssimativo gli eventi raccontati negli albi: Lotta disperata, L'ombra della notte e Sepolto vivo!.
Inizialmente il regista avrebbe dovuto essere Tonino Cervi, ma dopo una settimana di riprese venne licenziato da De Laurentiis che lo rimpiazzò con Mario Bava. Il film infatti aveva bisogno di molti effetti speciali da poter realizzare con un budget non proprio generoso.
Regista e produttore si trovarono subito in disaccordo, Bava avrebbe voluto realizzare un film più fedele possibile al fumetto, mantenendo quindi la stessa dose di violenza, De Laurentiis invece, temendo eventuali blocchi della censura, preferì smorzare un pò i toni cupi, anche per rendere il personaggio più appetibile al grande pubblico.
Ci furono problemi anche con gli attori. Nel ruolo di Diabolik era stato scritturato Jean Sorel, che con il cambio di regista venne sostituito da John Phillip Law, impegnato contemporaneamente sul set di Barbarella, sempre prodotto da De Laurentiis.
Per il personaggio di Eva Kant venne presa in considerazione Catherine Deneuve (!!!), che però venne scartata perché poco adatta al ruolo e soprattutto perché non era disposta a partecipare a scene di nudo. Alla fine la parte andò a Marisa Mell.
Insomma una situazione un pò caotica, e un'esperienza competamente nuova e forse negativa per Bava, che negli anni successivi rifiutò qualsiasi altra collaborazione con De Laurentiis, prima per Diabolik 2, poi per King Kong.
La trama è altrettanto confusa. Come dicevo, si tratta di tre episodi diversi collegati un pò come capita: all'inizio vediamo Diabolik che riesce a rubare il solito malloppone di dollari sotto il naso dell'odiatissimo Ispettore Ginko (Michel Piccoli). Dopo il furto, Scotland Yard annuncia che per fermare l'ondata di crimini verrà reinserita la pena di morte fino alla cattura di Diabolik, così il diaboliko ladro si trova contro anche tutta la criminalità organizzata capeggiata dal boss Ralph Valmont (Adolfo Celi).
Una trama che in realtà è solo una premessa, perché dopo pochi minuti ci si rende conto che gli eventi sono collegati in modo molto precario.
In realtà il tutto è solo un pretesto per vedere Diabolik in azione in tre diverse situazioni, che però mancano completamente di suspence visto che non ci sono mai dubbi sulla riuscita dell'ennesimo complicatissimo piano.
Come prodotto di intrattenimento però è più che soddisfacente, e arrivo a dire che se non fosse per la narrazione grossolana non avrebbe nulla da invidiare a film ben più celebri, come quelli della serie di 007. Ci sono inseguimenti d'auto ben girati, effetti speciali degnissimi, scalate, deragliamenti di treni, gadget fantasiosi e belle donne.
E poi c'è lo stile tipico di Bava, che ha reso Diabolik uno dei simboli del cinema "pop".
L'uso di filtri particolari, i vetri colorati, i grandangoli, gli zoom violenti, contribuiscono a portare sullo schermo un'estetica estremamente vicina a quella dei fumetti, creando un film visivamente notevole che a distanza di anni fa ancora un certo effetto. Da questo punto di vista mi ha ricordato Hulk di Ang lee.
Diabolik è anche una delle opere più rappresentative per quanto riguarda l'effettistica di Bava. La caverna del ladro è infatti uno dei suoi lavori più riusciti.
Grazie a cartoni dipinti e vetrini posizionati davanti all'obiettivo, una semplice grotta vuota è diventata una base segreta futuristica con cupole di vetro e ponti sospesi.
Come quasi tutti i film di Bava, è stato rivalutato solo negli ultimi anni.
Roman Coppola lo ha omaggiato nel suo CQ, un film che volevo vedere da un pò ma di cui mi ero dimenticato.

lunedì 1 agosto 2011

L'uomo invisibile di James Whale

 Purtroppo è una delle creature meno note della Universal, invece meriterebbe un pò più di considerazione al fianco dei mostracchioni più noti.
Intanto l'idea è tratta da un racconto di H.G.Wells, che però viene semplificato e spogliato dei suoi messaggi politici e sociali, quindi la base è senza dubbio interessante.
Poi c'è dietro James Whale (oh! vedetevi Demoni e Dei), un inglese sbarcato ad Hollywood e buttato nella mischia a dirigere il "blockbuster" Frankenstein.
La storia è semplicissima. Jack Griffin è un assistente di laboratorio innamorato della figlia del suo capo. Inesperto ma molto ambizioso, realizza un composto chimico che rende completamente invisibili, ma tra gli ingredienti c'è una potente droga che scatena gli istinti primordiali dell'uomo...
La prima cosa interessante è la scelta di far iniziare il film a cose fatte. Jack è già inguaiato e ormai completamente folle, il suo passato non viene mostrato ma raccontato da lui e dai suoi cari, quindi ci troviamo di fronte a un personaggio quasi completamente negativo che non è affatto interessato alla redenzione.
L'uomo invisibile è però un cattivo tipico del cinema di Whale, ha mirabolanti e diabolici piani per il futuro, ma per il momento si dedica a terrorizzare piccoli villaggi e a strangolare poliziotti invadenti. Insomma ci troviamo davanti a un horror abbastanza ironico che però non si risparmia scene di violenza piuttosto forti per l'epoca. Dai già citati strangolamenti a una famosa scena che rischiò di essere tagliata, perché portava a un finale poco roseo.
A parte quel paio di omicidi, ci sono furti di biciclette, panni stesi buttati all'aria, carrozzelle spinte, calci nel sedere, canzonette folk... un vero spasso.
C'è anche l'attrice feticcio di Whale, Una O'Connor, nel ruolo di una locandiera nevrotica e urlante. Lui la trovava divertentissima e la infilava in tutti i suoi film, come in La sposa di Frankenstein dove interpretava la zingara terrorizzata. In effetti fa delle facce splendide.
Ma la vera star è Claude Rains, altro inglese arrivato da poco ad Hollywood. Fino ad allora era tenuto molto poco in considerazione per la sua recitazione sopra le righe e il suo forte accento cockney, ma Whale lo volle utilizzare a tutti i costi perché si era innamorato della sua voce poderosa.
Infatti l'uomo invisibile compensa la sua assenza scenica con un vocione folle davvero poderoso.
Comunque L'Uomo Invisibile fu un colpaccio e negli anni successivi Rains si ritrovò a recitare in filmoni come Casablanca e Notorius.
Il film è da ricordare anche e soprattutto per l'uso di trucchi ed effetti speciali davvero innovativi.
L'invisibilità si otteneva attraverso una tecnica nuovissima: il corpo di Rains veniva coperto quasi completamente con un panno nero, poi l'attore indossava i vestiti e recitava davanti a uno sfondo scuro. Dopodiché la sua immagine veniva sovrapposta alla pellicola principale.
Quindi ogni scena doveva essere girata almeno due volte, una per lo sfondo e una per Rains.
Una scena in particolare, in cui l'uomo invisibile si leva le bende davanti allo specchio, è stata girata per ben tre volte: una per lo sfondo, una per Rains e l'altra per il riflesso. Il procedimento era complicato per i tecnici e particolarmente stressante per l'attore, che soffriva di claustrofobia e doveva rimanere bendato per parecchie ore. Anni dopo, nel remake di Il Fantasma dell'Opera, Rains pretese assolutamente un make up leggero che non gli coprisse completamente il volto.
Un sacco di ingredienti per uno degli horror anni '30 invecchiato meglio.
Come tutti i film targati Whale è caratterizzato da una fortissima ironia, ma mette in scena anche una buona dose di violenza brutale e spietata. Per la prima volta ci troviamo davanti un "mostro" umano profondamente malvagio. Certo la sua follia è l'effetto collaterale di una droga, ma l'uomo è mosso da avidità ed arroganza e le sue azioni sono così terribili che per lo spettatore diventava difficile provare simpatia o compassione.

venerdì 8 luglio 2011

Gli altri mostri della Universal

La figlia di Dracula
di Lambert Hillyer

Beh beh, non male.
La contessa Maria Zaleska è una vampira (o una vampiressa ?), figlia del temuto Conte Dracula.
All'inizio del film la vediamo bruciare i resti del defunto (?) padre e poco dopo veniamo a sapere che Van Helsing è stato arrestato per omicidio.
Ma al contrario di Dracula, Maria disprezza la propria natura e desidera avere una vita normale, così si rivolge al dottor Jeffrey Garth per cercare una cura alla condizione del vampirismo. La donna sarà combattuta tra l'amore per Garth, il desiderio di guarire, e la sua inarrestabile sete di sangue.
Dracula è uno dei personaggi che tollero meno così come tutto il genere vampiresco, ma questo film in particolare mi è piaciuto. E' uno dei primi horror della Universal che tenta di andare oltre, superando la forma limitativa del semplice horror vampiresco.
C'è una storia d'amore impossibile, un'anima tormentata, il vampirismo trattato come una condizione medica... insomma tutte tematiche più mature, trattate con uno stile meno ingenuo del solito.
Gloria Holden è perfetta, ha un viso glaciale ma anche lo sguardo pieno di malinconia che dona un pò di vita al personaggio.
Molto bella la scena in cui attira nella sua magione una ragazza inconsapevole, con la scusa di ritrarla.

Il figlio di Dracula
di Robert Siodmak

Ecco, qui purtroppo si fa un passo indietro.
Lon Chaney Junior è il conte Alucard (hurr), presumibilmente un altro figlio del conte (ma quanti ne ha ?) o forse proprio Dracula in persona.
Poco importa. Il vampiro viene invitato in Louisiana da Kay, una donna appassionata di occultismo che sta per convolare a nozze con l'amato Frank.
La ragazza però si concede volontariamente ad Alucard e diventa una sua concubina. Frank scopre tutto, e tenta di uccidere il conte, ma la pallottola lo attraversa e uccide Kay (aha!), così il povero innamorato viene accusato di omicidio.
Non moderno come il film precedente, ma la storia è ben costruita e ci sono un paio di spunti interesanti. Prima di tutto il triangolo che viene a formarsi tra Kay, Frank e Alucard, poi l'ingiusta incarcerazione di Frank che non può dimostrare la propria innocenza e infine la scelta di Kay, che non è una vittima inerma ma sceglie volontariamente di diventare una vampira per raggiungere l'immortalità.
Non è poi tanto male neanche questo, e il twist finale è davvero riuscito.
E' il primo film in cui viene mostrata la trasformazione di Dracula da uomo a pipistrello, trucco ottenuto con l'alterazione della pellicola

Il figlio di Frankenstein
di Rowland V. Lee

Uuuuh finalmente l'incontro tra Karloff e Lugosi in un film della Universal ("Signor Lugosi, era perfetto come spalla di Karloff" "Vaffanculo!").
E niente, anche Frankenstein aveva dei figli.
Wolf von frankenstein si trasferisce nel castello paterno con moglie e figlio, ma ovviamente ci casca anche lui, trova il laboratorio paterno e si rimette al lavoro sullo stesso esperimento. A fargli pressioni c'è Ygor (l'ennesimo, ma non si capisce mai se è lo stesso), un contadino storpio sopravvissuto all'impiccagione che conosce il segreto dei Frankenstein.
Insomma il mostro torna in vita, ma è di nuovo muto e incontrollabile, così Ygor lo usa come uno schiavo per vendicarsi sui cittadini.
Ingenuo come tutti i precedenti Frankenstein, ma non completamente da bocciare. Ha qualche trovata registica di tutto rispetto, e ci sono una paio di momenti riusciti, però non aggiunge quasi nulla ai due titoli precedenti
Notevole anche il trucco di Lugosi, vistosamente imbruttito e con uno sgradevole bozzo sul collo spezzato. L'attore anni prima aveva rifiutato il ruolo del mostro di Frankenstein, perché secondo lui il personaggio era muto e privo di carisma. Ora invece finisce per affiancarlo. Che beffa!

Il terrore di Frankenstein o Il fantama di Frankenstein
di Erle C. Kenton

Uuuargh! Con questo film Lon Chaney Jr diventa l'unico uomo nella storia ad aver interpretato Dracula, L'Uomo Lupo e Frankenstein (non contemporaneamente eh).
La trama ricomincia da dove l'avevamo lasciata in Il figlio di Frankenstein. Ygor e il mostro (che come Chaney ha guadagnato qualche chilo) si mettono in viaggio alla ricerca di Ludwig, il secondo figlio del barone Henry Frankenstein.
La creatura non carbura più molto bene, quindi Ygor chiede a Ludwig di donargli un nuovo cervello, ma in realtà progetta di dar inserire il proprio cervello nel corpo del mostro per ottenere la sua immensa forza e l'immortalità.
Un film all'altezza dei suoi predecessori, che però ha il pregio di aver in qualche modo anticipato l'ondata di horror trash degli anni successivi.
Resurrezioni, mostri, trapianti di cervello... Ormai non sapevano più cosa inventarsi.
Chaney non fa rimpiangere il moscissimo Karloff.
Lugosi regala un'altra viscidissima interpretazione. Alla fine anche lui è costretto ad interpretare la creatura di Frankenstein. Una sconfitta che avrà faticato a digerire, ma almeno è riuscito a far parlare il mostro, anche se con un accento ungherese.

Frankenstein contro l'uomo lupo
di Roy William Neill

Chi non vorrebbe assistere a uno scontro del genere ? Boh, tutti ?
A proposito dell'ondata di trash di cui parlavo prima, comincia la pratica barbara di far scontrare i mostri classici in film confusionari e affollati.
Lawrence Talbot, alla sua seconda apparizione in un film, si rende conto di non poter morire a causa della maledizione che lo trasforma in un lupo ogni notte di luna piena (Anche se nel film precedente bastava un pò di argento ad uccidere un licantropo...).
La sua unica speranza è raggiungere il castello di Frankenstein e trovare gli appunti del famoso scienziato che ha scoperto i segreti della vita e della morte.
Qui trova la temutissima creatura addormentata nel ghiaccio (In Il fantasma di Frankenstein finiva da tutt'altra parte, ma le incongruenze non sono mai troppe in questi film) e si imbatte in Elsa Frankenstein, figlia del Ludwig del film precedente.
Aiutati dal Dottor Mannering, cercano il modo di dare la pace eterna a Talbot, ma lo scienziato non resiste alla tentazione di riportare in vita il mostro...
Uno dei più terribili, non ha ne capo ne coda, e lo scontro tanto atteso si riduce a una rapida baruffa nel finale.
Ormai la tendenza è trovare ogni volta un modo diverso per resuscitare i 3 mostri e costringerli ad affrontarsi.
Io però non riesco ad odiarli, sono troppo ingenui e nonostante tutto mi divertono sempre.
La cosa migliore di questo film e dei seguiti è la figura di Lawrence Talbot, un uomo tormentato che non può combattere conro la sua stessa natura ma che non può nemmeno porre fine alle proprie sofferenze. Un tema stranamente forte per questo tipo di pellicole.

Ah, altra beffa per Lugosi. Ancora una volta è costretto a interpretare il mostro tanto odiato.
Inoltre la produzione aveva deciso di renderlo di nuovo muto, perché nelle prime proiezioni private gli spettatori non avevano gradito lo strano accento della creatura.
Una sconfitta a metà, visto che Lugosi compare su schermo soltanto per pochi istanti. Ormai aveva 60 anni e non era più in grado di affrontare una giornata di riprese. Nella maggior parte delle scene viene sostituito da degli stuntman, non solo nelle scene di azione.

Al di là del mistero (House of Frankenstein)
di Erle C. Kenton

Ecco il primo incontro tra le tre creature della Universal o "monster rally". Purtroppo.
C'è anche un ricambio generazionale, perché il mostro di Frankenstein viene interpretato da Glenn Strange e il Barone Dracula da John Carradine, che torneranno entrambi nel film successivo. Karloff invece compare nel ruolo del perfido Dottor Niemann mentre Chaney è ancora una volta Lawrence Talbot.
Il Dottor Niemann è un discepolo di Henry Frankenstein incarcerato per i suoi esperimenti. Evaso dalla prigione con il gobbo Daniel, tenterà di vendicarsi, uccidendo tutti quelli che lo hanno fatto arrestare.
Durante la fuga si imbatte in un circo dove trova i resti di Dracula, così resuscita il vampiro e se ne serve per eliminare il primo dei suoi nemici. Poi raggiunge il castello di Frankenstein dove trova i corpi di Talbot e della creatura.
Una volta risvegliato, Talbot decide di aiutare Niemann nelle sue ricerche, così potrà finalmente trovare un modo per morire. Ma ovviamente lo scienziato è interessato solamente a riportare in vita il mostro...
Tanti mostri e tante idee riciclate, come per la pellicola precedente salvolo solo la sottotrama di Talbot. E' evidente che ormai non cè più nessun interesse a rispettare la continuità degli eventi, basta solo mettere in scena i mostri.
Ah, Dracula compare per pochi minuti e viene liquidato in un istante.

La casa degli orrori (House of Dracula)
di Erle C. Kenton

Finalmente è finita, più o meno.
Sia Dracula che Talbot cercano l'aiuto del Dottor Edelmann per guarire dalle loro condizioni "particolari".
Il vampiro viene sottoposto a delle trasfusioni, mentre Talbot viene curato grazie alle spore di una misteriosa pianta.
Ma il sangue di Dracula fa impazzire il Professor Edelmann che riporta in vita il mostro di Frankenstein e inizia a terrorizzare la città.
Beh molto meno peggio del precedente.
Intanto mi piace quando in questo genere di film si cerca di dare una spiegazione scientifica molto dettagliata alle varie mostruosità.
E poi, nonostante le incongruenze già citate, la storia è molto bella. Talbot finalmente vicino a una possibile cura, Edelmann che diventa una sorta di Dottor Jekyll diviso tra il desiderio di fare del bene e quello di causare morte e distruzione. Insomma molto meno banale del solito, con degli spunti drammatici mica male.
Peccato per il modo ridicolo in cui vengono introdotti Dracula e Frankenstein. Il primo sembra seriamente convinto di voler guarire, ma appena può, manda tutto all'aria e riabbraccia la sua vera natura. Il secondo viene buttato in mezzo alla storia senza rispettare la continuità con il film precedente. Prima era in un posto e adesso è in un altro, anche ai protagonisti la cosa sembra alquanto strana, ma si danno una spiegazione senza senso e se la fanno bastare.
Da notare la presenza del primo personaggio femminile con la gobba che io ricordi in un film. E' Jane Adams nel ruolo dell'infermiera Nina, che in locandina viene indicata come uno dei mostri della pellicola.