mercoledì 12 ottobre 2011

Una serata con Enzo G. Castellari

Proprio in questi giorni, per l'esattezza dal 10 al 15 ottobre, si sta svolgendo il Novara Cine Festival. Un'iniziativa che va avanti dal 2004 e che fino ad oggi ho accuratamente evitato.
Quest'anno però il festival è dedicato al cinema di Enzo G. Castellari, regista di film cult come Keoma, Vado l'ammazzo e torno, Quel maledetto treno blindato, La polizia incrimina la legge assolve, L'ultimo squalo... Si insomma "Me cojoni!", come direbbero gli spettatori di Stracult.
Proprio Quel maledetto treno blindato è stato recentemente omaggiato da Quentin Tarantino nel suo  Inglourious Basterds. Non un remake, come molti lo avevano frettolosamente etichettato, ma un omaggio appunto, a partire dal titolo, che ricalca quello americano del film di Castellari: The Inglorious Bastards.
Per chi non lo avesse notato, il regista romano fa anche una comparsata alla fine del film, è uno dei gerarchi nazisti che urla "Fire!" nel cinema di Shoshanna.

Ma arriviamo al punto: ieri sera il festival è stato aperto ufficialmente con la proiezione di Quel maledetto treno blindato in un cinemino di Novara, per l'occasione era presente Castellari in persona che oltre a presentare il film ha anche ritirato un bruttissimo premio.

Vado con le foto sfuocate ? Vado.

Ecco il regista che si crogiola nell'affetto dei fan:

Qui risponde alle domande dell'impacciatissimo direttore del festival, che tra parentesi non ne ha azzeccata una. Prima ha pronunciato la parola "poliziottesco" provocando le ire del truce regista, poi ha staccato per sbaglio il cavo del microfono e infine ha interrotto le domande per far salire la giuria sul palco. Una giuria che costituiva il 50% del pubblico in sala.


Qui Castellari descrive l'incontro con Quentin Tarantino e la compianta Sally Menke.
Ha anche raccontato uno strano aneddoto sul suo film. Pare infatti che durante gli anni di piombo fosse illegale utilizzare armi vere nelle produzioni cinematografiche italiane. Quindi per girare sparatorie ed esplosioni ha dovuto spostarsi all'estero e filmare separatamente i campi e i controcampi.
Ha anche accennato agli enormi incassi di L'ultimo squalo, un plagio di Lo Squalo. In quegli anni erano film di serie B come quelli a procurare i fondi per il cinema d'autore. Adesso invece con gli incassi delle porcate ci giriamo altre porcate.


Ecco invece la giuria al completo. Non mi ricordo un nome, comunque c'erano un paio di conduttrici radiofoniche, una giornalista, un regista di cortometraggi, un compositore, un'attrice, un critico cinematografico e un disegnatore che sta colorando il numero 300 di Dylan Dog.


Castellari giustamente perplesso per l'intervista lasciata a metà. Anzi sembra più che non gliene freghi nulla di quello che stanno dicendo. Hey sta guardando me!


Ed ecco finalmente la premiazione imbarazzante. Allora, dopo 30 minuti sul palco Castellari viene fatto scendere. Poi il direttore del festival si ricorda del premio e glielo ammolla così, una cosa di classe.
Castellari allugandosi per prenderlo ha detto "Embè m'o dai così ?". Per i non romani "Oibò giovanotto, è codesto il modo di consegnarmi il vessillo ?"
La bionda in basso a destra è la moglie, chissà quante volte ha dovuto rivedere il film. 
"Ah Enzì, ancora co sti film de guera ?"

Nonostante la situazione fastidiosa è stato simpaticissimo, è uno di quei registi recentemente rivalutati che non si è montato troppo la testa.
Alla fine è stato circondato da degli anziani che hanno iniziato a parlare di treni, politica e film d'azione. A quanto pare all'epoca Castellari era considerato un regista fascista. Un pò come Silvio Orlando ne Il Caimano.
Per fortuna siamo riusciti ad avvicinarlo. Aveva fretta ma ha comunque firmato qualche autografo (solo per noi tre) e fatto qualche foto. 

Eh si, quello sono io. Naturalmente la mia è stata l'unica foto mossa, per fortuna così piccola non si vede.



L'autografo. Ovviamente ha sbagliato a scrivere il nome.
Ci vanno due "c" li mortacci sua!



Tiè, beccatevi anche il rospo che ho trovato vicino al cancello l'altra sera.


martedì 11 ottobre 2011

Bronson e Valhalla Rising di Nicholas Winding Refn

In occasione dell'uscita di Drive (si beh, ormai uscita dalle sale, siete ancora in tempo per andare a vederlo) ripropongo due vecchi commenti brutti e sconclusionati:

Valhalla Rising




E' difficile parlarne, e soprattutto è difficile parlarne bene. Volendo riassumere la trama non saprei bene cosa dire, perché anche in quel poco che succede sullo schermo ci sono pochissime coordinate; sappiamo solo che un guerriero muto e con un occhio solo si libera dai suoi aguzzini dopo averli massacrati, poi, insieme a un ragazzino, si unisce a un piccolo gruppo di "crociati" diretti in terra santa. Questa temibile armata di sei o sette persone ha però dei seri problemi ad orientarsi, infatti la nave su cui viaggiano li porta da tutt'altra parte, probabilmente nel nord America.
Qui il film perde la bussola, se mai ne ha avuta una, e i personaggi cominciano a fissare l'orizzonte e a sproloquiare, però ognuno parla con se stesso e non presta alcuna attenzione a quello che dicono gli altri. Si insomma, diciamolo chiaramente, la seconda parte del film ricorda le scene di Amore e Guerra dove vengono parodiati i drammi da camera di Ingmar Bergman.
"One-Eye mi ha parlato, ha detto che siamo all'inferno"
"Io sono qui per vedere i miei figli, loro sono morti in battaglia"
"Non abbiamo trovato la Terra Santa, ma questa sarà la mia nuova Gerusalemme, tu sarai il mio consigliere spirituale"
"Hahahah"
"Grano, enormi campi di grano, gigantesche distese di grano dorato."
E così via... Peccato eh, perché l'inizio era incoraggiante, soprattutto visivamente. E' tutto molto sporco e fisico, come dovrebbe essere un film "storico" di questo tipo, dalla violenza brutale e spietata dei combattimenti, alle vallate perennemente inondate dalla nebbia e ricoperte dal fango in cui i protagonisti vivono e si trascinano. Ma dal punto di vista narrativo è una presa in giro, non bastano i silenzi e qualche interrogativo filosofico lanciato nel vuoto a fare una storia che vale la pena di essere girata.


Bronson


Refn mi lascia di nuovo perplesso, anche in questo caso non so davvero cosa dire.
Michael Peterson, in arte Charles "Charlie" Bronson, è il detenuto più pericoloso d'Inghilterra. Arrestato per rapina nel 1974, dopo un furto di ben 26 sterline, viene condannato a una pena di 7 anni, che però diventano 14 dopo una serie di rapimenti, sequestri di persona e violenze contro detenuti e guardie. A causa del suo comportamento estremamente violento, Bronson viene trasferito ben 120 volte, passando per diversi penitenziari e tre manicomi. Il 30 ottobre 1988 finisce di scontare la pena, ma dopo 69 giorni viene di nuovo arretato per rapina, poi liberato nel '92 e riarrestato dopo 54 giorni.
Il film racconta molto liberamente questa parte della sua vita, dipingendola in chiave estremamente surreale. Attraverso vari flashback e ellissi temporali vengono raccontate le sue gesta e i trasferimenti che tanto detestava, mentre tra una scena e l'altra Bronson si racconta in modo piuttosto rozzo parlando alla telecamera o agli spettatori di un teatro. Il film non si sforza nemmeno di dare una dimensione alla sua follia, e anche queste parti autobiografiche sono completamente prive di valore. Bronson è in cerca di celebrità e l'unico modo che ha di ottenerla è farsi una fama terribile all'interno dei carceri, massacrando le persone a mani nude senza alcuna ragione. Quando è in cella fa di tutto per restarci, quando è fuori sembra non vedere l'ora di rientrare, sembra solo un guscio vuoto. E forse il pregio del film è proprio questo, non è ne un'apologia del personaggio ne la sua mitizzazione, è solo il racconto incoerente di una figura insondabile, forse persino un completo idiota.
L'altro aspetto degno di nota è il tono completamente grottesco e surreale con cui è raccontata la vicenda, una serie di scenette slegate che sembrano fuori dallo spazio e dal tempo, popolate da personaggi spesso molto più ambigui di Bronson, come ad esempio lo zio Jack e tutta la sua brigata di travestiti.
E poi c'è un indimenticabile Tom Hardy, enorme, completamente pelato e con dei baffi fantastici che gli invidio tantissimo, praticamente il film si regge solo su di lui. Oltre al vistoso lavoro fatto sul fisico, si fa notare anche per lo splendido accento masticato e incomprensibile con cui sbraita sputazzando contro i secondini terrorizzati. In una scena ti strappa il sorriso con delle bellissime espressioni da pazzo e le risatine isteriche, in quella dopo invece diventa realmente spaventoso e riesce a generare una tensione palpabile, come quando fissa la vittima di turno in silenzio, pronto a esplodere da un momento all'altro.
Rispetto a Valhalla Rising mi sembra un film più riuscito, forse perché il caos e l'irrazionalità si prestano meglio a raccontare la storia di un personaggio del genere, eppure sembra soffrire degli stessi difetti, punta quasi tutto sul lato visivo riducendo all'osso quello narrativo. Purtroppo un paio di buone idee non bastano a fare un film, e il lato tecnico non è così memorabile da eclissare le altre mancanze.

Alcune imprese:


In 1983, Bronson took hostages and staged a 47-hour rooftop protest at Broadmoor, causing £750,000 of damage.
In 1994, while holding a civilian librarian hostage at Woodhill Prison, Milton Keynes, he demanded an inflatable doll, a helicopter and a cup of tea as ransom. Two months later, he held deputy governor Adrian Wallace hostage for five hours at Hull prison, injuring him so badly he was off work for five weeks.
In 1998, Bronson took two Iraqi hijackers and another inmate hostage at Belmarsh prison in London. He insisted his hostages address him as "General" and told negotiators he would eat one of his victims quickly unless his demands were met. At one stage, Bronson demanded one of the Iraqis hit him "very hard" over the head with a metal tray. When the hostage refused, Bronson slashed his own shoulder six times with a razor blade. He later told staff: "I'm going to start snapping necks – I'm the number-one hostage taker." He demanded a plane to take him to Cuba, two Uzi sub-machine guns, 5,000 rounds of ammunition, and an axe. In court, he said he was "as guilty as Adolf Hitler", adding, "I was on a mission of madness, but now I'm on a mission of peace and all I want to do now is go home and have a pint with my son." Another seven years were added to his sentence.
In 1999, he took Phil Danielson, a civilian education officer, hostage at Hull prison.He can be seen in CCTV footage singing the song "Yellow Submarine", walking around with a makeshift spear (after having caused havoc inside the prison) and causing the wing to be locked up for over 40 hours.
In 2007, two prison staff members at Full Sutton high security prison in the East Riding of Yorkshire were involved in a "control and restraint incident", in an attempt to prevent another hostage situation, during which Bronson (who by now needed spectacles) had his glasses broken. Bronson received £200 compensation for his broken glasses, which he claimed were made of "pre-war gold" and given to him by Lord Longford

Corro in libreria a comprare il suo manuale su come fare attività fisica in spazi chiusi.

sabato 8 ottobre 2011

Drive di Nicholas Winding Refn


Questo Drive mi fa pensare ad un bel viaggio notturno in macchina. Si sprofonda subito in un sedile comodissimo e ci si gode il paesaggio mentre delle musiche bellissime dai ritmi ipnotici ci fanno sprofondare in un piacevole torpore. Il viaggio è comodo e silenzioso, come la storia d'amore tra il protagonista senza nome e la bella donzella in pericolo, un amore fin troppo casto e platonico, fatto solamente di sguardi e sottintesi.
Poi gradualmente si prende velocità, senza accelerate brusche, e inizia l'inesorabile discesa verso la cruda realtà. Il guidatore si rivela per quello che realmente è, un folle senza una direzione, di giorno è un meccanico di auto e stuntman professionista, di notte autista freddo e infallibile che offre i suoi servizi a ladruncoli vari. Dei soldi e della carriera nel mondo delle corse sembra interessarsi poco, è più uno strumento senza vita in mano a chiunque voglia approfittarne. Insomma non il classico eroe senza macchia e dall'armatura lucente ma nemmeno il tipico antieroe dei film d'azione hollywodiani. "Driver" è a tutti gli effetti uno psicopatico pronto ad esplodere, e anche quando a guidarlo sono l'amore e la paura per le persone care, le sue azioni sono brutali e spietate. Un individuo alienato che si veste e agisce come uno dei personaggi dei film in cui lavora (e forse la scena della maschera diventa emblematica in questo senso), cinematografico negli atteggiamenti e nella vendetta.
Dicevo prima senza accelerate brusche, perché il ritmo del film in realtà è molto ben dosato. La prima parte estremamente piacevole e distesa prepara il terreno a un secondo tempo carico di tensione, con un'esplosione di violenza animalesca che lascia lo spettatore completamente spiazzato.
Senza ricorrere all'azione frenetica e senza trasformare il film in un action classico e banale, Refn riesce a dare dinamismo alla storia e a girare degli inseguimenti automobilistici veramente notevoli.
Ottima la fotografia che valorizza molto i notturni losangelini e interessantissimo uso del montaggio in alcune scene, dove parallelamente vengono portate avanti più linee temporali differenti. Grandiose anche le musiche, si sposano perfettamente con l'atmosfera notturna di cui parlavo all'inizio. Non avrei mai pensato di potermi innamorare di una colonna sonora elettropop.
Insomma Drive è un film che trasuda stile da tutti i pori, è contemporaneamente un omaggio ai noir e polar classici, oltre che a diversi altri generi, e un noir moderno con una sua precisa identità. Una delicata storia d'amore ma anche un film di genere duro e puro. E' sporco, violento e splatter, ma anche elegante e raffinato. Non ero impazzito per Bronson e Valhalla Rising ma ho amato alla follia quest'ultimo lavoro di Refn, che secondo me con una buona sceneggiatura non originale tra le mani se la sa sbrigare davvero egregiamente.



Straconsigliato.