sabato 3 settembre 2011

Django di Sergio Corbucci



Un classico dello spaghetti western più celebre all'estero che in patria, venerato in Germania, dove verranno girati diversi cloni, e amatissimo in America, finirà addirittura nel Museum of Modern Art di New York. Il controverso Takashi Miike lo ha omaggiato direttamente nel suo Sukiyaki Western Django e Alejandro Jodorowki, in un intervista a Stracult, ha persino dichiarato che Django è il suo film preferito(il che spiega un sacco di cose).
Franco Nero in uno dei suoi primi grandi ruoli è Django, un pistolero dagli occhi azzurri vestito di nero che attraversa il deserto trascinando una vecchia e misteriosa bara. Arrivato nella più classica delle città senza nome al confine con il Messico, Django si infila subito in un saloon/bordello e aspetta l'arrivo del Maggiore Jackson, un militare sudista alla guida di un gruppo di fanatici razzisti incappucciati di rosso.
Diventa subito chiaro che il protagonista è in cerca di vendetta, ma cosa nasconde nella bara ? Il cadavere della defunta moglie da vendicare ? E' solo la bara destinata a ospitare il cadavere di Jackson ? E' qualcosa di mistico-religioso ? No, contiene solo un gigantesco gatling-gun. E a pochi minuti dall'inizio Django lo usa per massacrare 40 scagnozzi di jackson in pochi secondi.
Insomma tutto qui, uno spaghetti-western sanguinolento e sporco(non a caso l'aiuto regista è Ruggero Deodato), con decine di cadaveri, quantità considerevoli di sangue, orecchie tagliate e fatte ingoiare alla sfortunata vittima(pare che Tarantino in Le Iene citi proprio questa scena), mani spappolate da zoccoli di cavalli e i soliti schiaffoni dal suono fragoroso.
Corbucci è antitetico rispetto a Leone, alle tonalità calde e uniformi della Trilogia del Dollaro contrappone una serie di colori freddi, occasionalmente ricoperti da chiazze di un rosso sgargiante. L'aridissimo deserto è rimpiazzato da onnipresenti distese di fango che circondano una città morta, un paesaggio naturale forse più vivo ma dalle tinte estremamente grige.
Sulla regia non azzardo neanche un paragone, Corbucci in modo molto poco invadente si limita a inquadrare quello che succede, senza riuscire a donare alla storia l'epicità che gli sarebbe così indispensabile. La macchina da presa non esalta e non incornicia la tensione degli sguardi, la drammaticità di una morte, l'estasi di una vittoria, ma resta sempre e solo una spettatrice. L'unico fiacco tentativo è un ricorrente primo piano su Franco Nero con la testa abbassata e il volto coperto dal cappello, seguito da un leggero e inelegante zoom quando l'attore solleva il capo e fissa la macchina da presa.
Le musiche di Bacalov e Migliacci in questo senso non sono molto d'aiuto, anonime e confinate a un semplice ruolo di sottofondo. Ad affossarle completamente ci pensa l'improbabile canzone Django cantata da Ricky Roberts.
La storia, nonostante gli sforzi per nasconderlo, è molto simile a quella di Per un pugno di dollari(pare che sia stato proprio Corbucci a consigliare a Leone d rifare Yojimbo), ancora una volta un lupo solitario che arriva in città e sfrutta la rivalità tra due gruppi per raggiunger i propri scopi.
La "novità" sta tutta nel finale, a mio avviso abbastanza ridicolo e trascinato, che sembra voler gridare: Guardate, guardate cosa so fare, la scena è pregna di simbolismo!
Tirando le somme, il film non è niente di terribile, diverte come uno spaghetti-western dovrebbe fare, e, a parte nel finale, non cerca mai di strafare. E' orgogliosamente grezzo e sporco e a suo modo ha rinnovato il genere. Non mi spiego comunque l'incredibile successo all'estero, come per molti altri titoli.

Il problema con questo genere di film è che Sergio Leone ci ha viziati fin dall'inizio.

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