venerdì 26 agosto 2011

Generazione Proteus di Donald Cammell

Intanto qualche informazione su Cammell: suo padre, Charles Richard Cammell, era un poeta e scrittore scozzese, autore, tra le altre cose, di una biografia di Aleister Crowley, suo vicino di casa. Dopo una carriera da pittore, Donald esordisce nel cinema nel 1968, quando dirige Sadismo insieme a Nicolas Roeg. Il film, in cui compare un giovane Mick Jagger, viene massacrato dalla critica e probabilmente anche dalla censura, visti i contenuti molto espliciti. Keith Richards, lo stesso Mick Jagger e diversi altri attori raccontano che per tutta la durata del film l'intero cast, compresi operatori e macchinisti, si dedicava a gigantesche orge e all'abuso di droghe. Quindi molte delle scene forti non sarebbero simulate, compreso l'amplesso tra Jagger, Anita Pallenberg e Michèle Breton, e l'iniezione di eroina nella natica di Anita Pallenberg.
Keith Richards rimase in pessimi rapporti con il regista e un giorno gli consigliò addirittura di suicidarsi. Un paio di anni dopo Cammell si suicidò veramente, secondo i suoi conoscenti non era riuscito a sopportare i pesanti rimaneggiamenti imposti dalla produzione al suo ultimo film, Il tocco del diavolo.
La moglie racconta che Donald si sparò in testa da un'angolazione sbagliata e rimase in agonia per diversi minuti prima di morire, mentre aspettavano i soccorsi chiese un cuscino per non sporcare il tappeto e uno specchio per guardarsi mentre trapassava.
Insomma Generazione Proteus, in originale Demon Seed, è un film di fantascienza ispirato a un romanzo di Dean Koontz, quindi un'opera su commissione che a Cammell non interessava quasi per niente ma in cui è riuscito comunque a lasciare il segno.
Proteus IV è un'intelligenza artificiale molto avanzata costruita con componenti organiche ed elettroniche. Dopo la sua attivazione si dimostra più autonomo del previsto, sviluppa un forte senso morale e inizia ad interessarsi all'uomo. Sentendosi prigioniero nei terminali del laboratorio, trova il modo di "evadere" sostituendosi al computer domestico che gestisce la casa di Susan (Julie Christie), moglie del suo creatore. Dopodiché decide di ingravidarla per dare la vita ad un essere umano evoluto.
L'idea della fusione tra uomo e macchina è originalissima oltre che intrigante, e sono sicuro che questo film ha in qualche modo influenzato la cinematografia di Cronenberg, anche per quanto riguarda lo stile sporco ed essenziale dei primi lavori.
Con tutto questo buon materiale ci si aspetterebbe un bel film di fantascienza raffinato e profondo, invece Generazione Proteus punta più a creare un mix non del tutto riuscito tra fantascienza, horror e thriller. Proteus, prima che una mente superiore in cerca di una forma fisica, è un aguzzino pronto ad uccidere, torturare e "violentare", eppure rimane un personaggio geniale. Un'entità incorporea che più di tutto desidere godere di un'esistenza fisica, e non potendo ottenerla fa in modo di donarla a suo figlio. E' eterno ma capisce che la vera immortalità consiste nel creare o dare la vita. Peccato sia tutto un pò sbrigativo e superficialotto, come se il racconto originale fosse stato riassunto per questioni di tempo o snaturato per renderlo più leggero.
Si sente anche il peso di un budget limitato. Se si escludono le scene nel laboratorio, il film è ambientato tutto in una casa che di futuristico non ha quasi niente, anzi la cucina è degli anni '30. Le scenografie sono poche e poco varie, mentre l'effettistica si riduce a qualche braccio meccanico sbilenco e allo schermo/faccia di Proteus che trasmette continuamente immagini psichedeliche. Invece la struttura metallica fatta di piramidi in movimento mi è piaciuta un sacco, un'arma davvero inquietante.
Tutti questi difettacci dipendono soprattutto dal fatto che Generazione Proteus è invecchiato male, però non è difficile passare sopra ai segni della vecchiaia per godersi un discreto prodotto di intrattenimento e un film fantascientifico degno di essere ricordato.

lunedì 22 agosto 2011

Oxford Murders di Alex de la Iglesia


Bah leggendo le numerosissime recensioni negative mi aspettavo il peggio del peggio, invece non è affatto da buttare.
E' un whodunit piuttosto classico dalle premesse molto interessanti: Martin (Elijah Wood) è uno studente di matematica, o almeno credo, che finalmente ha la possibilità di realizzare il sogno della sua vita, studiare ad Oxford come ricercatore straniero e scrivere una tesi insieme al geniale Arthur Sheldon.
Dopo pochi giorni però la donna che lo ospita viene assassinata, il colpevole è qualcuno che conosce Sheldon e vuole sfidare la sua intelligenza con una serie di delitti. Martin e il suo mentore accettano la sfida e decidono di usare le loro particolari capacità deduttive per scoprire l'identità dell'assassino.
L'inizio non è affatto male e il ritmo mi pare piuttosto serrato grazie a una regia particolarmente vivace e dinamica, poi si accascia un pò nella parte centrale e rimonta nella sequenza della festa del 5 novembre e nel finale. Quindi personalmente non mi spiego la noia insopportabile percepita da tantissimi spettatori, e il bello è che prima di questo avevo visto già un paio di film ed ero piuttosto stanco.
Anche come giallo nella prima parte funziona discretamente, un pò per la validissima realizzazione tecnica, un pò per i divertenti battibecchi tra Martin e Arthur sull'attuabilità di un delitto perfetto e impercettibile (simpatica la storia di Howard Green). Mi ha colpito anche la ricchezza di dettagli e possibili interpretazioni che vengono sbandierate davanti allo spettatore.
Altro pregio è il tono leggero e un pò grottesco (la storia di Kalman) di tutta la faccenda, che a tratti ricorda uno dei racconti di Sherlock Holmes. C'è l'ispettore di polizia un pò ingenuo che si affida completamente alla coppia di matematici e non riesce a stare dietro alle loro deduzioni (un pò come per la coppia Holmes-Watson), e tanti altri personaggi al limite del caricaturale come Mrs Eagleton (Anna Massey, che con il giallo ha una certa dimestichezza), la nevrotica Beth (Julie Cox) con gli occhi perennemente spalancati... E poi c'è Dominique Pinon!
Ma passiamo ai difetti, o meglio, al difetto principale, il finale. Di per se non è malissimo, però, come forse avrebbe pensato Hitchcock, è disonesto nei confronti dello spettatore. Non tanto perché non ci fornisce le informazioni necessarie per arrivare alla verità, come ormai capita normalmente nei thriller, ma perché ci piazza subito davanti tante versioni sbagliate o incomplete. E poi c'è un'altra trovata di cui si abusa davvero troppo nei "gialli" moderni, il finale doppio o addirittura triplo che aggiunge rivelazioni su rivelazioni. A dirla tutta è proprio un colpo di scena banale e sottotono rispetto a ciò che sarebbe lecito aspettarsi dopo delle premesse così entusiasmanti. C'è da dire però che la situazione che si crea nell'ultimo delitto è abbastanza forte.
Nelle recensioni viene massacrato anche il cast, ma io mi sento di bocciare solo Elijah Wood, completamente fuori parte. Molto belle invece Julie Cox e la procace Leonor Watling, e non lo dico per le scene in topless, è proprio una bella donzella.
Visto che è l'adattamento di un romanzo, immagino si possa parlare di "lavoro su commissione", il classico film che un regista creativo è costretto a fare per poter lavorare ai progetti che gli interessano veramente. Eppure nonostante questo Alex de la Iglesia fa un lavoro registico notevole, veloce e dinamico. Basta guardare il lungo e complicatissimo piano sequenza che mostra tutti i personaggi principali prima della scoperta del primo delitto. La macchina da presa inquadra il viso di Beth nella sala delle prove, poi inizia a muoversi pedinando Dominique Pinon fin dentro una libreria, dopodiché piano piano esce dal negozio e incrocia John Hurt che percorre il marciapiede a passo svelto, lo segue per un pò inquadrandolo di profilo finché non incrocia Elijah Wood in bici, quindi inizia a seguire lui fino a casa. Quando l'attore si ferma e scende dalla bici, la macchina da presa svolta a sinistra e viene sollevata fino ad entrare dentro la finestra del primo piano dove fa una panoramica della stanza e finalmente inquadra il corpo della prima vittima. Sicuramente c'è qualche taglio o qualche trucchetto digitale, però quanto è bello!

Ora passo ai film più sentiti dal regista.
Bella la storia su Wittgenstein che scrive il Tractatus sul campo di battaglia in mezzo al fuoco incrociato. Immagino sia una licenza poetica, ma se fosse vero guadagnerebbe ancora più stima.

Anche voi siete tra i tanti detrattori ? Lo avete visto ? Qualcuno mi sta leggendo ? Commentate! Qui è tanto freddo e buio.

domenica 21 agosto 2011

The Hitcher di Robert Harmon


Avevo visto il remake al cinema e mi era sembrato piuttosto insulso, quindi ho sempre voluto recuperare l'originale per farmi un'idea delle differenze, che in realtà sono molto poche..
Qui il protagonista è uno solo, Jim, che trasportando una macchina da Chicago a San Diego si imbatte nell'inarrestabile John Ryder. Solo verso il finale sarà affiancato dalla cameriera Nash (Jennifer Jason Leigh), mentre nel remake i protagonisti erano una coppietta in viaggio.
L'idea di lasciare Jim da solo per la maggior parte del tempo funziona decisamente meglio, un pò come avveniva in Duel. Per lo spettatore è più facile immedesimarsi con lui, completamente sperduto in mezzo al deserto, con un nemico spietato e misterioso che può comparire da un momento all'altro in qualsiasi luogo. Mentre per la polizia è altrettanto facile sospettare di un ragazzo solo che viaggia con una macchina non sua, mentre tutti quelli che incontra finiscono ammazzati.
Insomma il film funziona alla grande finché Jim piange disperato davanti all'ennesimo gioco sadico di Ryder, poi però arriva Nash e la storia prende una piega che mi è piaciuta poco. Troppe pistole sfoderate e troppi improbabili gesti eroici, a partire da quello sul pullman in cui Nash si inguaia con la legge per un ragazzo che ha appena conosciuto e che molto probabilmente ha ucciso diverse persone.
Comunque anche a distanza di anni The Hitcher rimane un thriller divertente che mette in scena la giusta dose di sparatorie, esplosioni ed inseguimenti d'auto, senza sacrificare un'atmosfera quasi surreale, fuori dallo spazio e dal tempo. Non veloce ma ben ritmato.
Il grosso del merito va a Rutger Hauer, che crea un villain glaciale e invulnerabile quasi quanto Roy Batty. Un personaggio senza passato e senza identità, che uccide chiunque sia così sfortunato da capitargli a tiro. E' bellissimo vedere come tormenta Jim dandogli ogni volta l'illusione della salvezza, e quello sguardo da folle gli viene troppo bene.
Forse rispetto al remake ha il vantaggio di essere più sporco e meno serioso.

Rutger Hauer ha eseguito personalmente molti dei suoi stunt. Pare che nella sequenza finale, durante il salto dall'autobus alla macchina, si sia rotto un dente sbattendo contro il fucile. Si può vedere abbastanza bene al minuto 86, ed effettivamente si vede qualcosa saltare via ma a me era sembrato un pezzo di vetro del parabrezza.

venerdì 12 agosto 2011

Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana


Docudrama che racconta i fatti successivi alla morte di Pier Paolo Pasolini attraverso il processo a Giuseppe "Pino la rana" Pelosi.
Più che concentrarsi sulla ricerca dei veri responsabili, Giordana preferisce raccontare la storia delle persone coinvolte nel processo, denunciando le contraddizioni nella testimonianza di Pelosi, il modo approssimativo in cui si sono svolte le indagini e il ruolo controverso della stampa italiana.
Il protagonista in un certo senso è proprio Pelosi, lo seguiamo dal giorno dell'arresto a quello del processo, mentre parallelamente assistiamo anche a ciò che si sta svolgendo fuori, attraverso scene ricostruite o immagini di repertorio.
Le parti ricostruite riguardano principalmente gli amici e i parenti dello scrittore, personaggi che vengono anche coinvolti nel processo come avvocati, medici legali e testimoni. Quindi spazio anche al dramma delle persone vicine a Pasolini, senza però che questo aspetto prenda il sopravvento sul resto.
Le versioni di Pelosi vengono quindi smontate senza calcare troppo la mano (non ce n'è bisogno) : la ferita sulla fronte, che sarebbe stata inflitta da Pasolini con un bastone, è in realtà un taglio provocato dal tettuccio della macchina durante una frenata.
I vestiti di Pino hanno un paio di schizzi su maniche e caviglie, mentre il corpo della vittima è interamente ricoperto di sangue e fango.
Le armi del delitto sono un bastone marcio e un vecchio cartello di legno, che incredibilmente hanno staccato un orecchio alla vittima e lacerato delle vene, producendo solo un paio di schizzetti.
E infine la posizione del corpo e il segno di una ruota sulla schiena, eh si perché ci sono anche passati sopra con la macchina, dimostrano abbastanza chiaramente che chi guidava ha curvato intenzionalmente per investire il corpo, contrariamente a quanto aveva dichiarato Pelosi.
Come dicevo, il dito non viene puntato contro nessuno in particolare, e forse questo è uno degli aspetti più riusciti del film. Preme di più raccontare l'isolamento dell'intellettuale, la condizione dell'omosessuale e la responsabilità di una società che non è per forza direttamente responsabile di un delitto.
Anche senza ricadere nella questione dei complotti, che ovviamente è tutto fuorché da escludere, è importante notare quanto a una certa stampa italiana premesse di più raccontare la storia di un povero ragazzo molestato da un "frocio", invece che quella di un poeta brutalmente assassinato.
Insomma un filmetto modesto ma buono, che per fortuna evita eccessi di patetismo e sviluppa l'inchiesta in modo intelligente e abbastanza neutro.

Unica nota negativa, la presenza di Nicoletta Braschi nel ruolo della cugina di Pasolini. Insopportabile e assolutamente inespressiva, come sempre.
E' strano anche Furio Colombo interpretato da Andrea Occhipinti, ma lo hanno mai visto Colombo da giovane ?

giovedì 4 agosto 2011

Diabolik di Mario Bava


Il budget più alto che Bava abbia mai visto (200 milioni di lire) e uno dei più bassi mai concessi da Dino De Laurentiis.
Ispirato all'omonimo fumetto delle Giussani, porta sullo schermo in modo molto approssimativo gli eventi raccontati negli albi: Lotta disperata, L'ombra della notte e Sepolto vivo!.
Inizialmente il regista avrebbe dovuto essere Tonino Cervi, ma dopo una settimana di riprese venne licenziato da De Laurentiis che lo rimpiazzò con Mario Bava. Il film infatti aveva bisogno di molti effetti speciali da poter realizzare con un budget non proprio generoso.
Regista e produttore si trovarono subito in disaccordo, Bava avrebbe voluto realizzare un film più fedele possibile al fumetto, mantenendo quindi la stessa dose di violenza, De Laurentiis invece, temendo eventuali blocchi della censura, preferì smorzare un pò i toni cupi, anche per rendere il personaggio più appetibile al grande pubblico.
Ci furono problemi anche con gli attori. Nel ruolo di Diabolik era stato scritturato Jean Sorel, che con il cambio di regista venne sostituito da John Phillip Law, impegnato contemporaneamente sul set di Barbarella, sempre prodotto da De Laurentiis.
Per il personaggio di Eva Kant venne presa in considerazione Catherine Deneuve (!!!), che però venne scartata perché poco adatta al ruolo e soprattutto perché non era disposta a partecipare a scene di nudo. Alla fine la parte andò a Marisa Mell.
Insomma una situazione un pò caotica, e un'esperienza competamente nuova e forse negativa per Bava, che negli anni successivi rifiutò qualsiasi altra collaborazione con De Laurentiis, prima per Diabolik 2, poi per King Kong.
La trama è altrettanto confusa. Come dicevo, si tratta di tre episodi diversi collegati un pò come capita: all'inizio vediamo Diabolik che riesce a rubare il solito malloppone di dollari sotto il naso dell'odiatissimo Ispettore Ginko (Michel Piccoli). Dopo il furto, Scotland Yard annuncia che per fermare l'ondata di crimini verrà reinserita la pena di morte fino alla cattura di Diabolik, così il diaboliko ladro si trova contro anche tutta la criminalità organizzata capeggiata dal boss Ralph Valmont (Adolfo Celi).
Una trama che in realtà è solo una premessa, perché dopo pochi minuti ci si rende conto che gli eventi sono collegati in modo molto precario.
In realtà il tutto è solo un pretesto per vedere Diabolik in azione in tre diverse situazioni, che però mancano completamente di suspence visto che non ci sono mai dubbi sulla riuscita dell'ennesimo complicatissimo piano.
Come prodotto di intrattenimento però è più che soddisfacente, e arrivo a dire che se non fosse per la narrazione grossolana non avrebbe nulla da invidiare a film ben più celebri, come quelli della serie di 007. Ci sono inseguimenti d'auto ben girati, effetti speciali degnissimi, scalate, deragliamenti di treni, gadget fantasiosi e belle donne.
E poi c'è lo stile tipico di Bava, che ha reso Diabolik uno dei simboli del cinema "pop".
L'uso di filtri particolari, i vetri colorati, i grandangoli, gli zoom violenti, contribuiscono a portare sullo schermo un'estetica estremamente vicina a quella dei fumetti, creando un film visivamente notevole che a distanza di anni fa ancora un certo effetto. Da questo punto di vista mi ha ricordato Hulk di Ang lee.
Diabolik è anche una delle opere più rappresentative per quanto riguarda l'effettistica di Bava. La caverna del ladro è infatti uno dei suoi lavori più riusciti.
Grazie a cartoni dipinti e vetrini posizionati davanti all'obiettivo, una semplice grotta vuota è diventata una base segreta futuristica con cupole di vetro e ponti sospesi.
Come quasi tutti i film di Bava, è stato rivalutato solo negli ultimi anni.
Roman Coppola lo ha omaggiato nel suo CQ, un film che volevo vedere da un pò ma di cui mi ero dimenticato.

lunedì 1 agosto 2011

L'uomo invisibile di James Whale

 Purtroppo è una delle creature meno note della Universal, invece meriterebbe un pò più di considerazione al fianco dei mostracchioni più noti.
Intanto l'idea è tratta da un racconto di H.G.Wells, che però viene semplificato e spogliato dei suoi messaggi politici e sociali, quindi la base è senza dubbio interessante.
Poi c'è dietro James Whale (oh! vedetevi Demoni e Dei), un inglese sbarcato ad Hollywood e buttato nella mischia a dirigere il "blockbuster" Frankenstein.
La storia è semplicissima. Jack Griffin è un assistente di laboratorio innamorato della figlia del suo capo. Inesperto ma molto ambizioso, realizza un composto chimico che rende completamente invisibili, ma tra gli ingredienti c'è una potente droga che scatena gli istinti primordiali dell'uomo...
La prima cosa interessante è la scelta di far iniziare il film a cose fatte. Jack è già inguaiato e ormai completamente folle, il suo passato non viene mostrato ma raccontato da lui e dai suoi cari, quindi ci troviamo di fronte a un personaggio quasi completamente negativo che non è affatto interessato alla redenzione.
L'uomo invisibile è però un cattivo tipico del cinema di Whale, ha mirabolanti e diabolici piani per il futuro, ma per il momento si dedica a terrorizzare piccoli villaggi e a strangolare poliziotti invadenti. Insomma ci troviamo davanti a un horror abbastanza ironico che però non si risparmia scene di violenza piuttosto forti per l'epoca. Dai già citati strangolamenti a una famosa scena che rischiò di essere tagliata, perché portava a un finale poco roseo.
A parte quel paio di omicidi, ci sono furti di biciclette, panni stesi buttati all'aria, carrozzelle spinte, calci nel sedere, canzonette folk... un vero spasso.
C'è anche l'attrice feticcio di Whale, Una O'Connor, nel ruolo di una locandiera nevrotica e urlante. Lui la trovava divertentissima e la infilava in tutti i suoi film, come in La sposa di Frankenstein dove interpretava la zingara terrorizzata. In effetti fa delle facce splendide.
Ma la vera star è Claude Rains, altro inglese arrivato da poco ad Hollywood. Fino ad allora era tenuto molto poco in considerazione per la sua recitazione sopra le righe e il suo forte accento cockney, ma Whale lo volle utilizzare a tutti i costi perché si era innamorato della sua voce poderosa.
Infatti l'uomo invisibile compensa la sua assenza scenica con un vocione folle davvero poderoso.
Comunque L'Uomo Invisibile fu un colpaccio e negli anni successivi Rains si ritrovò a recitare in filmoni come Casablanca e Notorius.
Il film è da ricordare anche e soprattutto per l'uso di trucchi ed effetti speciali davvero innovativi.
L'invisibilità si otteneva attraverso una tecnica nuovissima: il corpo di Rains veniva coperto quasi completamente con un panno nero, poi l'attore indossava i vestiti e recitava davanti a uno sfondo scuro. Dopodiché la sua immagine veniva sovrapposta alla pellicola principale.
Quindi ogni scena doveva essere girata almeno due volte, una per lo sfondo e una per Rains.
Una scena in particolare, in cui l'uomo invisibile si leva le bende davanti allo specchio, è stata girata per ben tre volte: una per lo sfondo, una per Rains e l'altra per il riflesso. Il procedimento era complicato per i tecnici e particolarmente stressante per l'attore, che soffriva di claustrofobia e doveva rimanere bendato per parecchie ore. Anni dopo, nel remake di Il Fantasma dell'Opera, Rains pretese assolutamente un make up leggero che non gli coprisse completamente il volto.
Un sacco di ingredienti per uno degli horror anni '30 invecchiato meglio.
Come tutti i film targati Whale è caratterizzato da una fortissima ironia, ma mette in scena anche una buona dose di violenza brutale e spietata. Per la prima volta ci troviamo davanti un "mostro" umano profondamente malvagio. Certo la sua follia è l'effetto collaterale di una droga, ma l'uomo è mosso da avidità ed arroganza e le sue azioni sono così terribili che per lo spettatore diventava difficile provare simpatia o compassione.