sabato 18 giugno 2011

I guardiani del destino di George Nolfi

Praticamente tutte le trasposizioni di romanzi o racconti di Philip K. Dick hanno una base narrativa potenzialmente ottima, che poi viene sviluppata più o meno bene con risultati cinematografici altalenanti.
Questo The Adjustment Bureau ovviamente non raggiunge i livelli di Blade Runner (nemmeno ci prova) e forse sviluppa una delle idee meno interessanti di Dick, però come film di puro intrattenimento se la cava discretamente. Non rientra nella fantascienza di una volta ma non la butta nemmeno in caciara come ormai capita sempre più spesso. Anzi, si può dire che scene di azione vere e proprie non ce ne siano. Per tutte queste caratteristiche ricorda un pò il recente The Box.
David Norris si candida come senatore nello stato di New York, ma per una serie di ragioni la sua campagna elettorale finisce male e lui perde l'occasione di tutta una vita. A sistemare le cose interviene l'Adjustment Bureau, un'agenzia (?) che agisce nell'ombra per far andare le cose secondo i piani elaborati da un misterioso "presidente". Sono angeli ? Divinità ? Il destino personificato? Nell'economia del film la cosa non ha poi molta importanza, perché il protagonista è David e il suo unico obiettivo è incontrare la donna che ama, a costo di rovinare i piani del destino.
Un uomo normale in una situazione fuori dall'ordinario, quindi niente fughe troppo rocambolesche o sparatorie interminabili, giusto qualche inevitabile corsa attraverso la bellissima Manhattan. Comunque il ritmo regge bene e l'interesse dello spettatore viene tenuto vivo per tutta la durata, fortunatamente senza ricorrere troppo a misteri e colpi di scena, anzi, le informazioni strettamente necessarie vengono rivelate fin da subito, mentre su altri aspetti secondari si sceglie di lasciare un alone di mistero. E poi, come ho già detto, il nucleo narrativo è la storia d'amore tra David ed Elise.
L'unica critica che mi sento di sollevare riguarda il finale, che effettivamente sembra un pò irruento e sbrigativo. L'impressione è che si siano un pò adagiati nella parte centrale, per poi rendersi conto che la cosa andava chiusa in fretta, oppure hanno semplicemente scelto di ravvivare il ritmo per non spompare lo spettatore. Fatto sta che l'ultima sequenza si sviluppa in modo troppo improvviso.
Matt Damon non si smentice, ma nella parte del candidato giovane e impacciato funziona bene. Emily Blunt invece è decisamente più naturale e disinvolta.

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