lunedì 30 maggio 2011

Female Prisoner #701 di Shunya Ito alla sua prima regia

Uh che film pazzo.
Si ispira a un manga di Toru Shinoara e si può far rientrare nel genere "women in prison" (in inglese fa più effetto), un sottogenere dell'exploitation ambientato nelle carceri femminili, dove le prigioniere vengono sottoposte ad ogni tipo di abusi e torture.
Qualcuno lo inserisce anche nel genere tutto giapponese dei Pink Film, pellicole softcore molto popolari negli anni '60 e '70. In effetti le nudità abbondano, e ci sono un paio di scene di sesso non troppo esplicite.
Ebbe un discreto successo e furono prodotti quattro seguiti, tutti interpretati da Meiko Kaji divenuta celebre nel ruolo di Nami Matsushima.
"Matsu" è la settecentunesima prigioniera di un carcere femminile giapponese. Il suo crimine è aver tentato di uccidere il suo amante Sugimi, dopo che lui l'ha usata per guadagnare la fiducia della Yakuza. Violentata da un gruppo di criminali, tradita dall'uomo che amava e infine incarcerata, diventa la vittima preferita delle guardie e delle perfide compagne, mentre Sugimi da fuori sfrutta le sue nuove amicizie per farla eliminare definitivamente.
L'idea è proprio elementare e il film è all'insegna dell'esagerazione. Per tutta la durata le prigioniere subiscono ogni forma di improbabili torture: vengono costrette a camminare nude su un ponteggio sotto gli occhi famelici delle guardie, vengono incaprettate e costrette a mangiare il cibo da terra, subiscono le angherie delle compagne di cella e gli abusi sessuali dei secondini... insomma, ogni occasione è buona per far saltare fuori qualche seno nudo.
I presupposti non potrebbero essere peggiori, e invece il film è divertente e ha un ottimo ritmo. Le scene di violenza, per quanto ingenue, sono sempre ben contestualizzate e contribuiscono a tratteggiare meglio il personaggio di Matsu, una donna glaciale tenuta in vita dall'odio e dal desiderio di una vendetta da servire rigorosamente fredda, una vendetta che Matsu attende passivamente e che lo spettatore pregusta per tutto il tempo, fino a quando finalmente non si presenta la buona occasione. Il finale non è esplosivo come mi sarei aspettato, ma lascia soddisfatti.
Anche la realizzazione tecnica non è malvagia, certo, ci sono le classiche zoomate violente sui volti carichi di rabbia, oppure gli schiaffoni con un brutto effetto sonoro e il taglio al momento sbagliato, però il risultato è piacevolmente kitsch e ci sono anche un paio di belle scene surreali in cui i volti dei personaggi acuistano i tratti delle maschere teatrali e il cielo si tinge di colori accesi.
L'interpretazione di Meiko Kaji è in linea con il film, praticamente si limita a lanciare sguardi in cagnesco al malcapitato di turno, ma lo fa così bene che è diventata famosa per questo. Per me è meglio come cantante.
Se si è disposti a tollerare le esagerazioni e i personaggi fortemente sopra le righe, si rimarrà certamente soddisfatti.


Il personaggio di Matsu ha sicuramente influenzato quello di Uma Thurman in Kill Bill.
Tarantino ha anche omaggiato il film inserendo nella colonna sonora il brano Urami-Bushi cantato da Meiko Kaji, che è il tema principale di Female Prisoner 701.
Bellissima:

domenica 29 maggio 2011

Let's scare Jessica to death di John D. Hancock al suo esordio


1971
USA

In italia: La morte corre incontro a Jessica o Lasciate che Jessica muoia









Un horror di stampo classico con budget e realizzazione da B movie, rivalutato e diventato cult nel corso degli anni.
La protagonista del film naturalmente è Jessica, una ragazza con problemi psicologici non meglio specificati. Dopo un periodo di cura in una clinica, si trasferisce in una vecchia casa sul lago con il compagno musicista e un amico. Qui trovano la casa occupata da una giovane hippy, e Jessica, invece di ristabilirsi, comincia a mostrare nuovi segni di squilibrio. E' una ricaduta o sta succedendo davvero qualcosa di strano ?
Come dicevo, un horror piuttosto classico che ricorda film come The Haunting (l'originale eh, non il mefitico remake), basato più sulle atmosfere che su situazioni macabre. Purtroppo queste atmosfere sono costruite in modo piuttosto misero e la tensione fatica ad arrivare a livelli percepibili. Le musiche sono buone e il regista fa il possibile per non risultare troppo banale, concedendoci anche qualche rara finezza, ma il ritmo si trascina stancamente e le situazioni tendono a ripetersi senza particolari scossoni.
C'è quello che si potrebbe definire un colpo di scena, ma è telefonatissimo e viene presentato nel momento e nel modo sbagliato, inoltre i personaggi avrebbero da subito i mezzi per trarre le stesse conclusioni a cui lo spettatore è già arrivato dopo pochi minuti dall'inizio, eppure ignorano completamente tutti gli evidentissimi indizi.
Purtroppo rimane deludente anche se affrontato come un horror psicologico, perché non riesce a suscitare dei dubbi concreti sulla sanità mentale della protagonista e quindi non porta mai lo spettatore a dubitare di quello che ha appena visto.
Anche il risicato cast lascia un pò a desiderare. Non sono proprio pessimi attori, ma sembrano tutti un pò legnosi e a disagio, specialmente l'attrice che interpreta Jessica (Zohra Lampert), che fatica molto a gestire l'instabilità del suo personaggio. Quasi sempre se la cava con un'espressione inebetita e un monologo interiore.
Non completamente da bocciare, però è proprio un filmetto modesto che purtroppo non se la cava solo con la scusa del budget striminzito.
Buono comunque l'impatto visivo e sonoro, il risultato ha un che di fiabesco, anche grazie all'ambientazione lacustre. Merita un pò di attenzione.

Pare che il film sia uno dei preferiti da Stephen King.
La casa in cui sono stati girati gli interni, e in cui risiedeva tutto il cast durante le riprese, è quella di Emily Dickinson. 

Ah, se potete cercate di vederlo in lingua originale, ho letto che il doppiaggio è terribile.

sabato 28 maggio 2011

Spider Baby or, The maddest story ever told di Jack Hill

1968
USA

Con:
Lon Chaney Jr
Sid Haig
Jill Banner
Beverly Washburn







Tra i primi film di Jack Hill, uno dei nomi più importanti del genere exploitation. Più celebre per film come Coffy e Foxy Brown, con cui ha dato vita al blaxploitation al femminile di cui Pam Grier è rimasta il simbolo.
In un certo senso, anche in Spider Baby le vere protagoniste sono delle donne. Il film racconta la storia degli orfani Merrye, Virginia (Jill Banner), Elizabeth e Ralph (un giovanissimo e scimmiesco Sid Haig), tre ragazzi affetti da una sindrome che provoca una rapida regressione infantile. Con loro c'è Bruno (Lon Chaney Jr.), l'autista di famiglia che ha promesso al defunto Titus Merrye di vegliare sui suoi figli.
La sindrome di Merrye non è però così innocua come sembra, e infatti i tre giovinastri sono dei pericolosi squilibrati che il povero Bruno fatica a tenere sotto controllo. A complicare le cose e a smuovere la trama arrivano dei lontani parenti, intenzionati ad appropriarsi dell'eredità utilizzando come scusa le condizioni mentali dei legittimi proprietari, ma non sanno cosa li aspetta...
Filmetto interessante, a metà tra la black comedy e l'horror. E un pò l'anello mancante tra telefilm come La Famiglia Addams, e film come Non aprite quella porta (e poi La casa dei 1000 corpi, in cui guardacaso Rob Zombie ha voluto utilizzare proprio Sid Haig), dove la protagonista è una famiglia composta principalmente da psicopatici e serial killer.
Qui ovviamente i toni sono un pò più leggeri e il macabro viene spesso smorzato con situazioni da commedia che comunque non guastano, tuttavia, pur mancando sangue e interiora, il film sa essere in qualche modo grottesco ed inquietante, soprattutto grazie all'interpretazione delle due ragazze, che compiono le loro mostruosità con uno sguardo splendidamente innocente e un'atteggiamento del tutto naturale. In particolare Virginia, con la sua attrazione morbosa verso i ragni, riesce a mettere in scena tutta la perfidia e l'ingenuità di una bambina (lo strano titolo si riferisce proprio a lei), mentre Ralph è autore di una violenza più bestiale e priva di logica.
Bello, bizzarro e divertente, e, per molti aspetti, del tutto in anticipo sui tempi.
Lon Chaney mostrava già i segni dell'età, ma la sua interpretazione è discreta. Anzi, mi è sembrato addirittura più convincente qui, nelle poche scene drammatiche, che nei primi ruoli da mostro tormentato.
Mi ripeto ma bravissime Jill Banner e Beverly Washburn. Sghignazzano, si punzecchiano, ciondolano la testa e giocano, proprio come delle bambine, ma sanno anche essere gelide assassine o morbose seduttrici. Sono divertentissime da vedere:
Adorabili.


Qualche curiosità:

-Il film è stato girato nel 1964 in 12 giorni con 65000 dollari, ma il produttore andò in bancarotta e ci furono diverse indecisioni sul titolo (The Liver Eaters, Attack of the Liver Eaters, Cannibal Orgy, The Maddest Story Ever Told), quindi uscì solo nel 1968.
-La canzone dei titoli di testa, una parodia di The Monster Mash, viene cantata da Lon Chaney Jr. Inoltre durante il film vengono fatti alcuni riferimenti ai lupi mannari e al film The Wolfman in cui Chaney interpetava l'uomo lupo. Bellissima la scena a tavola, dove lui pronuncia la battuta "stanotte c'è la luna piena" con lo stesso tono tragico che usava in quel film.
-Pare che Jill Banner sia stata scelta personamente da Jack Hill che l'aveva notata precedentmente. La giovane attrice ha poi recitato in pochi ruoli cinematografici e televisivi, inoltre ha avuto una relazione con Marlon Brando alla fine degli anni '60. E' morta all'età di 35 anni in un incidente stradale.